Gli amministratori del sito e il comitato di redazione desiderano ringraziare l’Ing. Luca Cellai per aver consentito la pubblicazione di questo interessante articolo che affronta, con taglio volutamente divulgativo, un tema di grade attualità ed interesse.

1. Introduzione

This is the waythe world ends. Not with a bang but a whimper.” (T. S. Eliot)

Il primo segno che il mondo stava per finire per l’equipaggio dell’unità HMS Sheffield fu una debole e breve serie di schiocchi nella cuffia dell’operatore in servizio alla postazione di guerra elettronica. Quel pomeriggio del 4 Marzo 1982, mimetizzato nel sottofondo dei tanti cinguettii e ronzii provocati dai radar della task force britannica quando la Sheffield veniva brevemente illuminata dagli altri radar di bordo, si manifestò infatti, per un breve tempo, il primo indizio che la Sheffield era in pericolo. Il debole ma regolare schiocco provocato dai radar Agave di due aerei Super Etendard argentini.

I piloti argentini presumibilmente selezionarono il più rapidamente possibile il bersaglio più grosso visibile sui loro schermi radar, lanciarono i missili Exocet, spensero i radar e se ne tornarono velocemente alla base.

Comunque, anche se l’operatore in servizio sulla Sheffield non avesse notato gli schiocchi in cuffia dei radar Agave argentini, se ne sarebbe dovuto accorgere il sistema automatico di riconoscimento di bordo. Infatti il radar dei Super Etendard avrebbe dovuto figurare nella lista dei trasmettitori ostili e la sua rivelazione far scattare immediatamente l’allarme in tutte le postazioni di battaglia.

La risposta alla domanda ‘perché non scattò l’allarme?’ rimarrà un segreto per almeno altri 40 anni ma, poco dopo lo svolgimento del dramma, furono fatte due ipotesi:

1) che il radar francese Agave dei due Super Etendard fosse troppo simile a quello degli Harrier inglesi per poter essere riconosciuto come ostile;

2) che qualcuno dimenticò di inserire la firma elettronica dell’Agave nella lista software dei sistemi ostili.

Inesorabilmente, come da programma, il missile Exocet percorse con l’autopilota la rotta di avvicinamento alla Sheffield ed accese il suo radar di ricerca solo nel tratto di volo terminale. L’ultimo segno del disastro imminente sulla Sheffield fu il cambio di tono dovuto al radar di ricerca dell’Exocet, che passò da intermittente a continuo, segno inequivocabile che l’aggancio era stato ormai ottenuto e che mancavano una manciata di secondi all’impatto fatale che avrebbe provocato l’affondamento della nave e la morte di venti membri del suo equipaggio (HMS Sheffield: A Sailor A Survivor).

La ricostruzione della perdita della Sheffield sintetizza perfettamente il ruolo dei sensori radar nella guerra moderna, che è prima di tutto guerra elettronica. Siamo inoltre entrati ufficialmente nell’era dei missili ipersonici (sia balistici che manovrabili, da cinque a dieci volte più veloci del relativamente primitivo – ma letale – missile Exocet del 1982) e la sfida dei moderni sistemi radar di difesa è quella di riuscire a massimizzare la probabilità di sopravvivenza in un conflitto contro avversari dotati di questo nuovo tipo di armi. Nel seguito verrà illustrato un sensore radar, ideato circa venti anni fa, che permetterebbe significativi vantaggi nella rivelazione, il più possibile veloce ed affidabile, di bersagli ipersonici in condizioni di silenzio radar (Fast and unambiguous hypersonic missile detection ).

2. Descrizione funzionale di un moderno radar di scoperta

Per apprezzare le peculiarità del sensore radar qui descritto occorre prima richiamare i blocchi funzionali di un moderno radar di scoperta e prendiamo ad esempio il sofisticato radar RAT-31 (per postazioni fisse) di fabbricazione italiana.

L’antenna primaria rotante a schiera (array antenna) del RAT-31 è costituita da molte centinaia di elementi ricetrasmittenti, posti l’uno accanto all’altro fino a saturare la superficie di un ampio rettangolo, contenenti ciascuno un modulatore ed un duplexer (l’interruttore che isola il sensibilissimo ricevitore durante la trasmissione dei potenti impulsi radar per non danneggiarlo).

Perché si utilizzano antenne radar a schiera così complicate invece di un semplice paraboloide?

In sintesi:

  • per ottenere il puntamento elettronico di un sottile fascio radar (puntamento che così risulta ordini di grandezza più rapido di quello meccanico);
  • per sintetizzare impulsi radar molto più intensi sommando i contributi di tantissimi trasmettitori elementari relativamente poco potenti;
  • per sintetizzare in ricezione un fascio molto stretto a partire da tanti ricevitori a fascio largo;
  • per realizzare antenne letteralmente “spalmate” su edifici oppure sulle sovrastrutture delle navi militari (antenne conformali).

Con una antenna a schiera così concepita si ottengono anche altri vantaggi:

  • una perdita trascurabile di prestazioni nel tempo, perdita dovuta agli inevitabili guasti per usura dei vari elementi ricetrasmittenti (finché non se ne guastano almeno il 15-25% il radar funziona bene);
  • la possibilità di annullare efficacemente le interferenze intenzionali in arrivo da particolari direzioni (jammer nulling) .

Altri elementi di rilievo del sistema riguardano le caratteristiche del processore di segnale, e cioè:

  • la libreria di segnali disponibili (quindi la possibilità di personalizzare dinamicamente nel tempo le caratteristiche degli impulsi trasmessi a seconda della distanza e della natura prevista dei bersagli di interesse, cioè se lenti, con ala rotante, veloci, supersonici e/o ipersonici, vicini e/o lontani);
  • l’estrattore radar (il sistema che rivela la presenza – detta “plot” – o meno del bersaglio in una determinata cella radar, anche in presenza di disturbi intenzionali);
  • il sistema di tracciatura (tracking) e di aggancio (lock) dei bersagli, effettuato sulla base di rilevazioni (plot) successive, in celle radar più o meno adiacenti, a mezzo di filtraggio “alla Kalman” di ogni particolare bersaglio di interesse rilevato; va notato che il sistema di tracking (anche simultaneo di più bersagli) istruisce l’unità di comando per il puntamento programmato del fascio radar e per la selezione dinamica della forma d’onda più adatta per l’inseguimento di ciascun bersaglio di interesse.
  • la velocità di calcolo e di esecuzione. Per operare in tutte le direzioni occorre che il radar ruoti e scandisca il volume di sorveglianza con migliaia di fasci elementari molto stretti. Per poter rivelare bersagli deboli alla massima portata occorre inoltre attendere un certo tempo per il ritorno dell’eco (e disporre di una adeguata potenza in trasmissione). Sommando al tempo di calcolo il tempo necessario per la trasmissione e la ricezione degli impulsi radar in ogni singolo fascio (cioè in tutte le direzioni) del volume di sorveglianza ci si accorge che per poter tornare ad interrogare una certa cella nello spazio (bersaglio si/bersaglio no) occorre attendere un certo tempo minimo (tempo di rivisita).

L’avvento dei missili ipersonici ha reso inadeguato il normale tempo di rivisita dei radar come il RAT-31, pensato per operare nei confronti di una amplissima classe di bersagli aerei, pilotati e non, oppure balistici ma piuttosto ‘lenti’. Da quanto sopra si capisce anche perché radar del genere si chiamino multifunzionali.

Però, come per un coltellino svizzero, la multifunzionalità implica la necessità di cambiare spesso attrezzo par fare un lavoro complesso e si corre il rischio di trovarsi nel momento più inopportuno ad aver selezionato l’attrezzo sbagliato.

Un missile balistico (e/o ipersonico), anche quando il suo arrivo viene preannunciato dall’intelligence o da sistemi di più alto livello (cueing), obbliga a dedicare praticamente tutte le risorse di un radar multifunzionale come il RAT-31 al suo inseguimento e se si stanno dedicando le risorse radar per tracciare il traffico “normale” non si avrà mai il tempo di rivelare (con buona probabilità si intende) il suo transito.

3. Radar multidimensionale vs. bersagli ipersonici

Per apprezzare pienamente la sfida posta da un missile balistico (tecnologia anni cinquanta) o da un missile ipersonico occorre prendere un minimo di confidenza con le grandezze fisiche in gioco (velocità, altezza, tempo di volo e gittata).

Iniziamo con il missile balistico. Il suo moto non è significativamente diverso da quello di un masso lanciato da una catapulta (o da quello di un proiettile di artiglieria).

Esaurita la più o meno breve fase di propulsione (alcuni minuti in caso di missile balistico) il resto della traiettoria è governato dalla sola forza di gravità e (in misura assai minore) dall’attrito con l’atmosfera.

Le prime nozioni da tenere a mente riguardano la classificazione e le proprietà base delle traiettorie balistiche:

  • una traiettoria molto elevata (come quella di una bomba da mortaio) corrisponde ad una gittata relativamente corta;
  • una traiettoria con un angolo di elevazione iniziale prossimo a 45° corrisponde alla massima gittata (max range);
  • una traiettoria più orizzontale (depressed) arriva a segno prima.

Per convenzione (del tutto arbitraria) la classe di un missile balistico si riferisce alla sua gittata massima (max range). Quindi ci sono missili short range (gittata compresa tra circa 100 Km e 500 Km), missili intermediate range (gittata compresa tra circa 500 Km e 3500 Km) e missili intercontinentali (gittata maggiore di 3500 Km).

Ovviamente nulla vieta di utilizzare un missile balistico da 1500 Km di gittata max range contro obiettivi più vicini e gli analisti militari si appassionano (direi anche troppo) sugli eventuali vantaggi di un tiro ‘elevated’ vs. un tiro depressed, come fossimo rimasti al 21-24 Giugno 1940, quando gli obici francesi distrussero a sorpresa (e con relativamente pochi tiri) il forte Chaberton, posto sulla vetta di una impervia montagna alpina vicino Cesana Torinese!

L’altra nozione da tenere a mente è relazione tra la quota massima raggiunta nella traiettoria balistica dal missile, la gittata massima, il tempo di volo e la velocità terminale. Per orientarsi a sufficienza, anche senza computer, basta usare come riferimento mentale una traiettoria da 1500 Km (una specie di super Enhanced SCUD, vedi “Flashback to the Past: North Korea’s “New” Extended-Range Scud“): per tale gittata massima, la corrispondente quota massima è di circa 350 Km (circa un quarto della gittata) e la velocità terminale risulta di circa 3,5 Km/sec (Mach 10).

Il tempo di volo? Una manciata di minuti, poco più di 10.

Siccome la traiettoria balistica di un missile da 1500 Km sale a circa 350 Km di altezza e l’atmosfera finisce a soli 40 Km circa di altezza, si capisce che, a differenza di un normale proiettile di artiglieria, gran parte del volo si svolge nello spazio.

Se non si riesce a rivelare tempestivamente il lancio di un missile balistico di media-lunga gittata, anche solo dotato di tecnologia anni cinquanta (quella nota ai tempi della crisi di Cuba), sono guai seri.

In teoria basterebbero poche fortunate battute radar nella fase ascendente, quando il missile è ancora relativamente lento, per tracciare approssimativamente la traiettoria e per fare una ‘impact point prediction’ di una certa utilità, ma affidarsi alla sola fortuna non è mai saggio. Se il lancio non viene rivelato immediatamente allora si può solo contare sul fatto che si riesca a rivelare il missile nella fase terminale della traiettoria, ma rimane comunque un oggetto letale che viaggia a diversi Km/sec (e che quindi lascia al più solo qualche minuto di tempo per reagire).

Ci si può in parte consolare pensando che , anche se non ci fosse il tempo di reagire, un radar in grado di rivelare e tracciare questo tipo di minaccia permetterebbe almeno di stabilire quando e da dove è partito il missile balistico (per poter almeno attribuire la responsabilità politica). E non è poco… I missili che esplosero anni fa vicino Lampedusa furono rivelati solo dal tuono delle loro esplosioni al suolo.

A peggiorare ulteriormente le cose poi ci hanno pensato i missili intercontinentali di nuova generazione, dotati di sub munizioni che manovrano (Putin: New hypersonic Sarmat ICBM capable of overcoming missile defense systems) ed i più recenti missili ipersonici (A Russian hypersonic missile has been successfully test-launched from a MiG-31 jet.). Tutte le teste di guerra di questi ordigni viaggiano nella loro fase di volo terminale a velocità di molti Km/sec (Mach 5-10), ma non seguono una traiettoria balistica, manovrano in maniera del tutto imprevedibile!

Per migliorare le prestazioni del radar di scoperta nei confronti di questo tipo di minacce fu ideato circa venti anni fa un sensore radar 4D (pulse doppler) che permetterebbe significativi vantaggi nella rivelazione e tracciatura di bersagli ipersonici in condizioni di silenzio radar.

4. Descrizione funzionale del nuovo radar multistatico

Operare in silenzio radar significa in questo caso che si intende realizzare un radar in cui il trasmettitore si trova molto distante dal ricevitore.

Nel caso di sistema radar con un solo trasmettitore ed un solo ricevitore non colocati si dice che il sistema è bistatico. Nel caso di un sistema radar con una moltitudine di trasmettitori e ricevitori non colocati si dice che il sistema è multistatico.

La seguente figura illustra un ipotetico scenario di utilizzo terrestre monostatico in cui i monti Lepini, che si trovano vicino Roma, separano il trasmettitore dal ricevitore.

Ipotetico scenario di utilizzo terrestre

Passiamo ora alla descrizione vera e propria del nuovo radar pulse doppler bi/multi statico.

Per fissare le idee pensiamo ad un utilizzo della banda VHF/UHF (cioè della banda radio  centrata su 500 MHz circa di frequenza, quindi nel campo delle onde metriche).

Anticipo subito che queste frequenze sono, come dice il celebre Merril Skolnik nella sua “bibbia dei radar”, la banda del radar dei poveri (“UHF is poor man’s radar”).

Comunque, banda dei radar dei poveri o meno, in questa banda si può facilmente disporre di potenze radio di molte decine di Kw anche solo utilizzando la tecnologia delle valvole termoioniche risalente a più di 80 anni fa!

In più in questa banda è molto difficile rimanere invisibili (stealth), anche solo nei confronti di un radar monostatico, perché le superfici “a diamante” di un oggetto stealth (o le vernici assorbenti sulla fusoliera) perdono efficacia quando la lunghezza d’onda incidente risulta simile alle dimensioni dei ‘tasselli’ della superficie esterna.

Considerando poi che l’effetto stealth viene ottenuto essenzialmente perché l’energia incidente viene riflessa in direzioni molto diverse da quella di arrivo (e/o parzialmente assorbita dalla vernice), si comprende pure perché ciò che appare stealth ad un radar monostatico può invece apparire come una lampara in caso di architettura bi/multi statica.

Figura 1. Schema funzionale del radar bi/multi-statico

In sintesi il sensore qui descritto utilizza una combinazione unica ed originale di:

  • Architettura bi/multi-statica;
  • Trasmissione continua (CW) codificata (PN, pseudo-noise) agile in frequenza (Frequency Hopping);
  • Rete di formazione digitale (DBFN) dei fasci riceventi (simultanei e paralleli, a differenza di un radar 4D avanzato come il RAT-31 in cui i fasci d’antenna vengono scanditi uno alla volta nel tempo).

Come mostrato nella figura 1 il trasmettitore è di tipo estremamente semplice, in quanto si limita a trasmettere continuativamente lo stesso segnale codificato (cambiando di tanto in tanto la frequenza, cioè operando il frequency hopping), ed illuminando continuativamente lo stesso settore angolare fisso (non ci sono parti che ruotano).

Essendo il trasmettitore attivo risulta però automaticamente esposto alla minaccia dei missili antiradiazione (Anti Radiation Missile) ma, essendo anche il trasmettitore la parte meno costosa del sistema, si potrebbe dire come per i papi, “morto un trasmettitore se ne accende sempre un altro”.

Concentriamo quindi la nostra attenzione sul ricevitore, la parte veramente nobile del sistema.

La realizzazione dei fasci riceventi simultanei e paralleli viene effettuata con un processamento digitale (di tipo macina numeri, in inglese number crunching) da parte del blocco rosso della figura 1 (Digital Beam Forming Network o DBFN).

Tale blocco rosso viene alimentato dai flussi di campioni digitali generati a valle dei vari blocchetti “LNC+AD” (Low Noise frequency Converter + Analog to Digital converter) connessi direttamente alle antennine della schiera (per es. dipoli).

Il blocco rosso (DBFN) svolge la stessa funzione di una semplice lente convergente nei confronti della luce proveniente dalle varie direzioni del campo di vista di fronte all’antenna a schiera e la schiera di convertitori analogico-digitali permette di utilizzare un computer al posto della lente. In pratica il blocco rosso collima sul piano focale, quello dove c’è la retina dell’osservatore nel caso della luce visibile, l’immagine creata dai raggi radio che arrivano dal campo di vista frontale. L’equivalente digitale (DBFN “number crunching”) di una lente convergente è la trasformata veloce di Fourier bidimensionale (2D Fast Fourier Transform) mentre l’equivalente della retina più sistema nervoso è l’insieme dei filtri ‘adattati’ e dell’estrattore radar della figura 1.

Il campo di vista frontale, in caso di antenna radio a schiera (evidenziata in verde nella figura 1), è quello dei suoi elementi riceventi elementari, per esempio dei semplici dipoli, tipicamente spaziati tra di loro di λ/2 (mezza lunghezza d’onda), ma comunque sempre più vicini di λ alla più bassa frequenza di utilizzo per evitare di avere forti picchi secondari (grating lobes).

Per fissare le idee, se ci sono 1024 elementi riceventi elementari (dipoli), sistemati in una schiera quadrata di 32 X 32 elementi, ci saranno anche 1024 blocchetti ‘LNC+AD’. I 32 * 32 = 1024 campioni (per esempio a 32 bit in virgola mobile), presi tutti simultaneamente ad un certo istante di tempo scandito dal clock di sistema, andranno ad alimentare un blocco FFT a due dimensioni (32 X 32).

All’uscita del blocco FFT a due dimensioni ci saranno altrettanti campioni (complessi, cioè aventi modulo e fase oppure parte reale e parte immaginaria) organizzati su 32 righe e 32 colonne.

Ogni campione (complesso) di uscita dal blocco FFT bidimensionale rappresenta ora un campione del segnale radio proveniente da una precisa direzione dello spazio.

In pratica vengono così sintetizzati 32 X 32 = 1024 fasci radar riceventi fissi, perché anche il ricevitore, come il trasmettitore, non ruota.

Per effettuare il filtraggio “adattato” al segnale continuo codificato trasmesso, cioè per massimizzare il rapporto segnale/rumore dell’eventuale eco radar, occorre affidarsi al blocco successivo della figura.

Cosa significa filtraggio “adattato”? Significa adattato all’eventuale eco ricevuta.

Ma in cosa consiste eventualmente la eco ricevuta? In effetti consiste in una infinità di segnali potenziali, ciascuno costituito da una replica ritardata ed estremamente rumorosa del segnale trasmesso, con sovrapposta pure la distorsione doppler. Comunque con una opportuna scelta si passa nella pratica ingegneristica da una teorica infinità di filtri adattati ad un numero limitato ma ancora ‘sufficiente agli scopi’.

Per esempio, nel caso dei radar terrestri, la presenza di ostacoli praticamente immobili (cioè con scostamento nullo di frequenza doppler dell’eco, collettivamente denominati “clutter”, ostacoli relativamente troppo vicini al trasmettitore) renderebbe il radar stesso totalmente inutilizzabile se non si fosse inventato un filtro apposito, detto “anti-clutter“. Questo filtro “adattato” al clutter viene utilizzato per la sua cancellazione.

Invece i filtri adattati di un radar “pulse doppler” (a valle dell’eventuale filtro anti-clutter) vengono utilizzati per esaltare l’eco di ciascuna cella di distanza (range) e delle particolari frequenze doppler (i.e. velocità radiale) di interesse.

Come si fa nella pratica ad effettuare un filtraggio “pulse-doppler”?

Partiamo dal segnale digitale presente in ciascuna delle 1024 uscite della DBFN della figura 1.

Un modo molto comodo per effettuare il calcolo della risposta di un filtro adattato da parte di un computer è quello di operare su una serie di campioni successivi del segnale ricevuto (time history) di durata almeno pari al tempo di trasmissione tra due impulsi (oppure un suo multiplo intero). Nel caso del radar in figura questo tempo è pari ad una intera ripetizione del codice pseudo casuale (PN) trasmesso continuativamente dal trasmettitore.

Risulta anche necessario (per calcolare efficientemente una FFT) che la time history abbia un numero di campioni pari ad una potenza di due e nel caso questo non fosse si aggiungono degli zeri (zero padding).

Per calcolare la time history dell’uscita di un particolare filtro “adattato”, cioè quel filtro che massimizza il rapporto segnale rumore di una eventuale eco e la sua precisa frequenza doppler, si opera così:

  • Si calcola la FFT della time history (quindi si ottiene una serie di numeri complessi) del segnale proveniente da una qualunque delle uscite digitali della DBFN;
  • Si moltiplica membro a membro la FFT pre-calcolata (e quindi memorizzata) dell’eco “pulita”, con ritardo corrispondente ad una certa cella di portata (senza rumore), con la FFT della time history calcolata al punto 1. Moltiplicare significa moltiplicare il primo campione complesso col primo campione complesso, il secondo col secondo e così via fino alla fine. Il risultato sarà un frequency spectrum della stessa lunghezza della time history del punto 1 (o della FFT pre-calcolata del punto 2).
  • Si anti-trasforma il frequency spectrum (Inverse FFT o IFFT) del punto precedente in modo da rivelare l’eventuale “picco doppler” in corrispondenza della eventuale eco del bersaglio.

Per visualizzare il risultato di tutte queste operazioni di ‘number crunching’ al fine di calcolare il segnale filtrato dell’eco ricevuta da un particolare fascio ricevente della DBFN possiamo partire dallo spettrogramma in basso a sinistra del pannello virtuale del simulatore SW messo a punto dallo scrivente.

Pannello virtuale simulatore SW

Nello spettrogramma in basso a sinistra compare in ascissa il numero progressivo delle prime 23 (di 410) celle di range della particolare simulazione, mentre in ordinata il numero della cella doppler; la terza dimensione, l’intensità in scala logaritmica, viene rappresentata col colore, più chiaro per le intensità maggiori.

I due grafici in basso a destra costituiscono invece i tagli orizzontali e verticali dello spettrogramma in corrispondenza della cella doppler 0 (velocità radiale nulla del bersaglio nella cella di range 7) e della cella di range 13 (contenente un bersaglio di velocità radiale corrispondente alla cella doppler 13).

Nel grafico del quadrante in alto a destra del pannello compare invece il risultato dell’estrattore radar e si noti il plot nella cella di range 5 ed in quella doppler 40 che nella simulazione a due soli bersagli costituisce certamente un falso allarme dovuto al rumore.

Il grafico in alto a sinistra del pannello mostra invece il risultato dell’algoritmo automatico per il calcolo della soglia di rivelazione atto a mantenere costante la probabilità di falso allarme in tutto lo spazio pulse-doppler.

Lo scrivente ha anche sviluppato un algoritmo genetico per sintetizzare codici aventi i picchi di autocorrelazione più bassi possibile (pseudo-Gold) al fine di minimizzare la probabilità di falso allarme in celle di range relativamente vicine a celle in cui sono presenti forti bersagli con doppler (i.e. velocità radiali) anche molto diverse.

5. Radar multistatico vs. bersagli ipersonici

Nel paragrafo precedente si è accennato (senza approfondire) al concetto di velocità radiale del bersaglio come origine dello scostamento di frequenza doppler dell’eco.

In caso di radar monostatico l’eco di un bersaglio che viaggi in circolo a quota costante intorno al radar avrà sempre frequenza doppler nulla, qualunque sia la velocità al suolo, in quanto risulta costantemente nulla la velocità radiale del bersaglio (i.e. non varia mai la sua distanza dal radar).

Invece in caso di radar bi-multistatico la doppler di un bersaglio che giri intorno al trasmettitore sarà sempre ben diversa da zero, tranne quando il bersaglio attraversa la linea ideale congiungente il trasmettitore ed il ricevitore. Come mai?

Perché la fisica del fenomeno della diffusione delle onde radio da parte del bersaglio (scattering) mostra che lo scostamento doppler è dato dal tasso di variazione nel tempo della sommadelle distanze trasmettitore-bersaglio e bersaglio-ricevitore.

Per esibire una doppler nulla nel secondo caso il bersaglio dovrebbe seguire una rotta ellittica con trasmettitore e ricevitore radar nei fuochi.

Ora mettiamoci nei panni di un pianificatore “red” che voglia minimizzare la probabilità che un missile ipersonico venga rilevato dai radar di scoperta “blu”.

Conoscendo via intelligence dove sono presumibilmente dislocati i radar di scoperta (per esempio se installati a bordo delle navi) e disponendo di un missile ipersonico manovrabile, il pianificatore “red” programmerà la rotta di attacco in modo tale che il missile viaggi il più possibile “al traverso” rispetto ai segnali provenienti dai radar di scoperta “blu”, risalendo semmai in quota solo all’ultimo, prima di piombare sul suo bersaglio finale dallo zenith, che è la direzione cieca per antonomasia di tutti i radar di difesa esistenti (vedi video “missili ipersonici” di cui al paragrafo 3).

Ricordando infine che mentre il missile ipersonico viaggia “al traverso” la doppler rilevata da un qualunque radar monostatico sarà ineluttabilmente piccola (mentre il missile viaggia invece a velocità ipersoniche) risulta quasi certo che l’occasionale (ma molto intenso) plot del missile visto di fianco sarà scambiato per un falso allarme dovuto al clutter, perché alla successiva rivisita radar il nuovo plot del missile sarà presumibilmente così tanti chilometri distante dal plot precedente che l’eventuale tracking potrà essere fatto solo in sede forense accedendo ai dati grezzi del processore radar (come successe nel caso dell’abbattimento del DC 9 Itavia su Ustica coi nastri dei dati grezzi, forse manipolati e solo parzialmente disponibili, dei radar 3D di Roma, Licola  e Poggio Ballone).

Tutti i processori radar odierni non sono proprio concepiti e neppure attrezzati per correlare plot distanti decine di chilometri nello spazio e pochi secondi nel tempo!

Senza quindi indulgere oltre nella retorica “cicero pro domo sua” (essendo qui “Cicero” lo scrivente e la “domo sua” il nuovo radar bi-multistatico), oppure nell’errore opposto (cioè la sindrome di rifiuto NIH “Not Invented Here“), si lascia al lettore il compito di ragionare da se sui potenziali vantaggi operativi del radar bi-multistatico descritto in scenari tipo quelli della figura 2.

Figura 2. Radar bi-multistatico – Fasci dei ricevitori radar in verde

Prima di chiudere il paragrafo conviene riportare i parametri di funzionamento di un radar bi-multistatico (quindi essenzialmente del ricevitore radar) che sia anche ampiamente alla portata di una moderna implementazione FPGA (Field Programmable Gate Array) o, ancora meglio, con ASIC (Application Specific Integrated Circuit, simili a quelli di uno smartphone).

DBFN/UHF Array: da 8 X 8 a 32 X 32 elementi (cioè da 64 a 1024 fasci)
Lunghezza N del codice PN:  1000 chip

  • Frequenza di chip: 200 KHz
  • (e. DBFN capace di calcolare 200.000 2DFFT/sec di dimensione da 8 X 8 a 32 X 32)
  • Durata del codice PN: 5 millisec
  • Frequenza di codice PN: 200 Hz
  • Risoluzione cella di range: 1,5 Km
  • Range non ambiguo: 1500 Km
  • Risoluzione doppler nominale: 200 Hz (circa 240 Km/h @ 450 MHz)

6. Batterie contraeree vs. bersagli ipersonici

Sono disponibili in rete centinaia di video come questo (Russia boosts anti-missile shield over Crimea with S-400 system) che danno una precisa idea di quale sia l’hardware necessario per intercettare le minacce aeree più veloci.

Raramente però ci si interroga se sia veramente possibile abbattere un missile balistico di media-lunga gittata oppure testate di guerra ipersoniche.

La risposta più corretta è oggi NO, è praticamente impossibile (cioè la Pk, la kill probability, risulta ridicolmente bassa).

Come mostrato in precedenza le teste di guerra di questa classe viaggiano a velocità dell’ordine di molti chilometri al secondo, praticamente più veloci dei proiettili di fucile (che viaggiano all’uscita della canna ad un massimo di un chilometro e mezzo al secondo circa).

Per pensare di intercettare un oggetto che viaggia a molti chilometri al secondo di velocità occorre un intercettore che viaggi a velocità paragonabili (e che possa magari manovrare a molte decine di g senza andare in pezzi). E siccome un veloce intercettore deve essere molto grande (cioè con molto propellente e quindi scarsamente manovrabile) ci si accorge rapidamente che, parafrasando la pubblicità dei pennelli, non serve un intercettore grande ma servirebbe un grande intercettore.

Comunque velocità paragonabile non significa che l’intercettore viaggi facilmente a velocità pari o superiore e quindi si intuisce perché si sia affermata la strategia “hit to kill“. “Hit to kill” significa che l’intercettore deve avvicinarsi andando incontro alla testa di guerra ipersonica tentando di incocciarci contro, di modo che l’enorme energia cinetica combinata dei due oggetti che collidono frontalmente l’uno contro l’altro completi l’opera di distruzione.

Visti i risultati largamente insoddisfacenti di praticamente tutti i test svolti in condizioni controllate del THAAD forse sarebbe il caso di cominciare a percorrere altre strade…

Si potrebbe in teoria pensare di utilizzare in luogo dell’intercettore dei cannoni laser, ma facendo i conti ci si accorge immediatamente della estrema difficoltà di puntamento di un tale cannone laser. Si perché il cannone andrebbe puntato con una accuratezza superiore a quella che si potrebbe teoricamente ottenere installando un transponder a bordo della testa di guerra. Ad impossibilia nemo tenetur!

Ma allora perché sviluppare sensori di scoperta bi-multistatici capaci di rivelare e tracciare le teste di guerra ipersoniche?

La risposta oggi (in attesa dello sviluppo di una nuova classe di intercettori) è una sola: “per capire se un attacco ha veramente avuto luogo e per risalire alle responsabilità politiche”… e non è poco.

7. Il futuro della difesa dai missili ipersonici

L’annuncio della amministrazione USA di voler uscire dal trattato INF ed il recente annuncio della costituzione di una “Space Force” (in aggiunta alle tre armi tradizionali) da parte di Federazione Russa, Cina ed USA prelude agli sviluppi che si tentò di arrestare in occasione delle varie conferenze ONU sull’uso pacifico dello spazio.

In assenza di nuovi trattati INF multilaterali è facile quindi prevedere la militarizzazione dello spazio, cioè:

  1. il dispiegamento in orbita di sensori per rivelare tempestivamente il lancio delle armi ipersoniche;
  2. il dispiegamento in orbita degli intercettori.

Il dispiegamento in orbita degli intercettori (di relativamente bassa massa ma molto maneggevoli) permetterebbe infatti di rimuovere il limite alla velocità raggiungibile dagli intercettori basati a terra e di aumentare di un ordine di grandezza la loro capacità di manovra.

Ing. Luca Cellai

 


Appendice tecnica

A1 Limiti fisici del radar di scoperta

Il principale limite operativo di un radar di scoperta risiede nella “equazione radar” che ne fissa le prestazioni teoriche massime. Nel caso di un normale radar monostatico (trasmettitore e ricevitore colocati) l’eco di un qualunque bersaglio radar si attenua in maniera inversamente proporzionale alla quarta potenza della distanza dal trasmettitore.

Quindi se raddoppia la potenza dell’impulso in trasmissione, lo stesso debole bersaglio non lo vedrò al doppio della distanza, ma solo a meno del 19% di distanza in più (e se quadruplica la potenza dell’impulso lo vedrò solo al 41% di distanza in più): praticamente per raddoppiare la portata radar ci vuole un aumento di 18 volte della potenza trasmessa!

La stessa equazione radar però ci dice anche che a parità di scenario, se la portata di un radar monostatico è di 100 Km, una architettura bi/multi-statica permetterebbe di rivelare il bersaglio a 200 Km dal trasmettitore quando esso dista soli 50 Km dal ricevitore (cioè ai fini della rilevazione è come se, avanzando il ricevitore, che è passivo per definizione, si disponesse di un trasmettitore 18 volte più potente.

Altro aspetto importante che limita la portata dei radar di scoperta è la riflettività dei bersagli. La tecnologia stealth permette ormai di realizzare aerei con la riflettività (monostatica) di un piccione. Però anche per rivelare un piccione a distanza di centinaia di chilometri (e si noti bene un piccione non vola alla velocità di un aereo) servono potenze trasmesse tali da trasformare il volume, approssimativamente compreso entro un chilometro dal radar di scoperta, in un forno a microonde all’aperto… per cui altro che “raggio della morte”. A questo proposito ricordo ancora il caso di un mio incauto collega che, avendo regolato male il settore di blanking di un potentissimo radar di scoperta sperimentale, si ritrovò sul torace una ustione che riproduceva perfettamente la trama del tessuto della maglietta che indossava sotto il giubbotto pesante. Il bunker schermato che ospitava gli operatori radar era a centinaia di metri dall’antenna ma lui, contando sul fatto che in quel settore il radar avrebbe dovuto operare a potenza molto ridotta, uscì incautamente per prendere una boccata d’aria.

Non bisogna infine dimenticare il rumore radioelettrico (quindi sia il rumore termico che quello derivante dalla normali attività umane, oppure i disturbi intenzionali) che limita la capacità di rivelazione dei ricevitori radar. Il rumore genera di tanto in tanto dei falsi allarmi ed il ricevitore radar di norma si regola automaticamente per mantenere costante la probabilità di falso allarme ma, se si rende più bassa la soglia di rivelazione per aumentare la probabilità di scoperta di un bersaglio, si deve contestualmente accettare il rischio che i falsi allarmi saturino le capacità di calcolo del processore radar.

A questo proposito ricordo ancora quella volta che quasi finii “sotto processo” perché, impersonando i “rossi” contro i “blu” in una simulazione di scenario, dimostrai che era molto economicamente possibile accecare il radar di scoperta dei “blu” in modo tale da rendere possibile la penetrazione di una salva di missili “rossi”.

Quando mi chiesero “ma dove lo troverebbe questo ipotetico jammer il materiale per mettere insieme un tale disturbatore?” risposi sicuro “dar surplussaro de’ via der Mandrione…”, ed acclusi pure la lista del materiale liberamente ed economicamente acquistabile sul sito internet del venditore.

A2 Radar monodimensionale (1D)

Per orientarsi nella comprensione di un sistema radar serve conoscere le quattro operazioni, un minimo di geometria elementare (circonferenza del cerchio), di aver giocato da bambini con una torcia tascabile, da adolescenti con una lente di ingrandimento e magari da adulti con un cannocchiale.

Immaginiamo di essere una vedetta sulla coffa di una nave, in una notte buia senza luna, con buona visibilità e nuvolosità alta e compatta, con in una mano una torcia elettrica e nell’altra un cannocchiale. La consegna della vedetta è di comunicare al comandante in che direzione vi sono altre navi oppure un qualunque ostacolo alla navigazione.

Se la vedetta tiene spenta la torcia può contare solo sulla sua acutezza visiva (eventualmente amplificata dal cannocchiale) per individuare le eventuali deboli luci di bordo di un altro vascello.

Questo modo di operare è quello tipico dei sistemi elettronici di sorveglianza passivi, in cui scatta l’allerta quando viene rilevata la presenza di una emissione (ottica, sonora o radio) proveniente da una certa direzione.

La direzione di arrivo costituisce l’unica informazione (insieme eventualmente alle caratteristiche fisiche – intensità e/o frequenza – dell’emissione rilevata).

Un tale elementare sistema di avvistamento lo possiamo classificare come 1D (cioè una sola dimensione, quella della direzione di arrivo (azimuth), un solo dato, l’intensità del segnale, a cui si può eventualmente associare la frequenza, quando possibile).

Anche per questo semplice sistema di scoperta 1D si possono calcolare le prestazioni. La vedetta deve controllare tutto l’orizzonte (2π radianti = 360°) ed anche senza utilizzare un cannocchiale potrà scrutare solo un piccolo settore alla volta. Immaginiamo che la linea dell’orizzonte disti 10 Km dalla nave e che la vedetta voglia avvistare qualunque vascello lungo circa 50 metri. Questo requisito fissa le dimensioni angolari del settore elementare d’osservazione (e quindi se la vedetta avrà bisogno o no del cannocchiale).

I vascelli lunghi 50 metri che potrebbe contenere la linea dell’orizzonte a 10 Km (10.000 metri) di distanza sono 2 π * 10000/50 = 1256. Ad ognuno di questi 1256 potenziali vascelli presenti corrisponde un settore angolare pari a 360°/1256 = 0,29° circa. Alla vedetta servirà quindi un potente cannocchiale ed anche dedicando un solo secondo alla osservazione di ogni ipotetico vascello sull’orizzonte serviranno ben 1256 secondi, cioè 20 minuti abbondanti (0,33 ore), per completare la ricerca. Tuttavia un grosso caccia, che viaggiasse basso sull’orizzonte, volando in circolo intorno alla nave alla distanza di 10 Km, alla velocità di 2 π * 10/0,33 = 1903 Km/ora (Mach 1,6), passerebbe inosservato anche se lanciasse flares a manetta!

Ora immaginiamo pure che la torcia della vedetta sia in grado di illuminare a sufficienza l’orizzonte con un potente fascio collimato di luce di 0,29° di ampiezza, puntato esattamente nella stessa direzione del cannocchiale.

Rispetto al caso precedente il sistema di avvistamento con la torcia (attivo) guadagna la possibilità di rilevare vascelli che navigano a luci spente (anche se non quelli stealth dipinti con vernice non riflettente) ma diventa a sua volta rilevabile anche viaggiando a luci spente.

La luce della torcia è luce visibile: se sostituiamo la luce visibile con le onde radio (che sono anch’esse onde elettromagnetiche, ma di frequenza miliardi e miliardi di volte più bassa) ed il cannocchiale con un sistema “antenna-direttiva  + ricevitore-radio + rivelatore” ecco che otteniamo un semplice radar da scoperta 1D avente le stesse prestazioni di una vedetta in coffa quando quest’ultima cerca col cannocchiale navi sull’orizzonte che navigano anche a luci spente.

Parafrasando quello che disse il primo uomo sulla luna, “un piccolo passo per il comandante della nave, un grande passo per la vedetta”.

A3 Radar multidimensionale

Se al semplice radar 1D dell’esempio precedente si aggiunge la possibilità di variare l’elevazione del cannocchiale, si aggiunge alla direzione di arrivo (azimuth + intensità/colore del segnale) anche l’elevazione del bersaglio. Un radar siffatto viene chiamato radar 2D (az-el).

Radar però è nella pratica l’acronimo di Radio Detection And Ranging, per cui il nome stesso suggerisce che se un radar non fornisce la terza dimensione – la distanza del bersaglio – non meriterebbe tale nome. Nella classificazione dei sistemi radar reali si usa quindi la dizione direction finding (DF) per indicare tutti i radar che non forniscono una informazione sufficientemente accurata sulla distanza del bersaglio, che perciò viene tipicamente rivelato solo dalle sue emissioni (anche se ciò non avvenne nel caso della HMS Sheffield quando comparvero i Super Etendard e l’Exocet).

Un radar in grado di fornire l’azimuth, l’elevazione e la distanza del bersaglio (range) viene indicato come radar 3D (az-el-r). I radar per il controllo del traffico aereo degli aeroporti civili sono praticamente tutti o 2D o 3D.

Per calcolare la distanza serve però trasmettere un segnale ad impulsi per poter misurare il ritardo dell’eco, per cui i radar che forniscono questa informazione vengono tutti chiamati pulse radar. Tutti i radar più comuni sono pulse radar di tipo 2D (az+r) o 3D (az-el-r).

Aumentando di uno la dimensione di un radar 3D si passa al radar pulse doppler (4D) in cui la quarta dimensione è la velocità radiale del bersaglio (ricavata dallo spostamento doppler dell’eco radar).

In caso di bersagli estesi, tipo le turbolenze dell’atmosfera o le nubi, l’informazione della velocità radiale di tutte le varie parti del bersaglio (bersaglio spesso pure invisibile ad occhio nudo in quanto trasparente alla luce) permette di costruire una spesso utilissima immagine radar. Con le immagini di un radar meteorologico si può per esempio visualizzare la formazione di un tornado quando ancora è nello stadio di vortice orizzontale (quindi prima che si raddrizzi e tocchi terra) e lanciare un tornado warning nelle zone interessate.

I radar militari di scoperta e di tiro sono ormai tutti 4D (pulse doppler) e quando dispongono di potenza e risoluzione sufficienti riescono a ricostruire una vera e propria immagine del bersaglio. Caso tipico è quello del cosiddetto flash delle pale di un elicottero che compare nelle immagini di un radar pulse doppler, flash da cui è possibile risalire anche al tipo ed all’armamento del velivolo.

Non si può chiudere la panoramica di questo paragrafo senza almeno citare i radar di navigazione aerea (radar altimetro, Loran-B, Loran C, ILS) ed i radar con antenna ad apertura sintetica (Synthetic Array Radar, adatto solo per bersagli fissi relativamente estesi, in quanto si sfrutta il movimento dell’aeromobile – aereo o satellite che sia – per sintetizzare l’equivalente di una antenna virtuale molto più grande di quella fisica e per ricavare la mappa altimetrica di un territorio).

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