Quelle che seguono sono due immagini che documentano il recupero più profondo di un relitto mai eseguito nel Lago di Garda. Si tratta del rigalleggiamento di un piccolo natante di recente costruzione commissionato dal proprietario al gruppo Volontari del Garda chiamati ad intervenire su uno scafo posato a 245 m di profondità senza la presenza di sommozzatori in immersione ma solo con l’ausilio di personale specializzato in superficie.
La sfida, che presentava diverse insidie, si è potuta superare grazie all’esperienza trentennale maturata in queste operazioni dal team di lavoro e ad una buona dose di “creatività”.
La tecnica di recupero utilizzata è, da un punto di vista concettuale, piuttosto semplice prevedendo l’utilizzo di un ROV filoguidato, dotato di telecamera e pinza manipolatrice, e di un sonar di profondità a supporto.
In simili casi è necessario, in prima battuta, agganciare il relitto in un punto saldo (preferibilmente una bitta o un golfare) con una cima abbastanza robusta e lunga da poter filare fino in superficie.
Completata questa operazione un verricello salpa-ancore di potenza adeguata dovrebbe riuscire a riportare il relitto, che deve essere di piccole dimensioni, in superficie, dove il mezzo verrà rimesso in galleggiamento utilizzando palloni pressostatici o pressodinamici, quindi svuotato e rimorchiato sino ad una gru di alaggio.
Nel caso in esame il principale problema affrontato, come ben si può immaginare, è stato proprio l’aggancio del relitto. Manovrare il ROV nel tentativo d’infilare un gancio nel passacavi della bitta di prua trainando 250 m di cima da 1 cm è impensabile. L’attrito dell’acqua e gli effetti della corrente agirebbero su tutta la lunghezza della cima impedendo manovre precise.
Si è quindi reso necessario costruire uno strumento artigianale atto allo scopo composto da un gancio da verricello cui è stata aggiunta una barretta frontale che fungeva da “guida” per infilare più agevolmente il passacavi. Al gancio è stata quindi assicurata una cima di due metri di lunghezza munita di un anello robusto e galleggiante di circa 50 cm di diametro.
Il compito dell’operatore del ROV si è venuto così a semplificare non essendo più necessario trainare tutta la cima richiesta per il successivo sollevamento del relitto.
Infilato il passacavi della bitta di prua e assicurato il gancio (fino a quel momento tenuto dalla pinza manipolatrice del ROV) il nuovo anello galleggiante ha costituito un bersaglio molto più semplice da centrare consentendo al ROV di ridiscendere in sicurezza con la cima di recupero necessaria all’alaggio.
Terminata questa seconda fase il verricello ha potuto iniziare il lento sollevamento fino a quando, a -10 m dalla superficie, i sommozzatori del gruppo hanno provveduto all’imbrago, al rigalleggiamento ed allo svuotamento del relitto.
Luca Turrini
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