Titolo: Learning War: The Evolution of Fighting Doctrine in the U.S. Navy, 1898–1945
Autore: Trent Hone
Casa editrice: Naval Institute Press
Anno di edizione: 2018
Pagine: 400 con illustrazioni
Prezzo di copertina: € 38,57

 

Pochi libri mi hanno lasciato una sensazione di appagamento come il testo di Trent Hone, Learning War: The Evolution of Fighting Doctrine in the U.S. Navy, 1898–1945.
Un testo che conduce a importanti riflessioni non solo sulla dottrina navale americana ed in particolare su come si è evoluta nel corso del tempo, ma soprattutto sul perché lo ha fatto, in che modo si crea l’innovazione dottrinaria, e, soprattutto, come possono, istituzioni tecnologicamente complesse e istituzionalmente strutturate, produrla.

Hone ci introduce a un percorso, quello compiuto dalla U.S. Navy tra la Guerra ispano-americana e la fine della Seconda guerra mondiale, sottolineando come in questa fase della storia navale americana, la Marina statunitense sia riuscita a dotarsi progressivamente di strumenti in grado di favorirne l’adattamento alle circostanze.

A partire dal conflitto con la Spagna del 1898, nonostante la vittoria conseguita, iniziò a palesarsi, in un’epoca di rapidi cambiamenti tecnologici, un clima di insoddisfazione per le performance tattico-operative che necessitavano, da un punto di vista analitico, di essere affrontate con un nuovo approccio.

La risposta a questa esigenza venne fornita da un gruppo di “Insurgent” interni all’istituzione, tra cui spiccano figure come Alfred T. Mahan e William S. Sims, i quali proposero di rivedere il sistema formativo e di analisi sino ad allora adottato, favorendo la democratizzazione del dibattito interno attraverso la costituzione di centri di discussione “aperta”, come il Naval War College che dovevano servire a incardinare i principi di una dottrina universale “flessibile” cioè in grado di fornire uno schema orientativo agli ufficiali che potesse adattarsi alle evoluzioni (strategiche, operative e tattiche) destinate ad avvenire col tempo e allo sviluppo tecnologico.

Questi mutamenti misero fine al progressivo predominio degli ufficiali di linea (Line officers) consentendo anche agli ufficiali provenienti dai ruoli tecnici di accedere a posizioni apicali prendendo parte al dibattito dottrinario interno.

Nacque così un contesto istituzionale in cui anche agli ufficiali inferiori era consentito esprimere opinioni, in cui l’iniziativa individuale durante l’azione era osservata con favore ed in cui l’applicazione delle direttive diveniva flessibile, consentendo anche la sperimentazione di soluzioni ad hoc da parte dei comandi sia di unità sia superiori.

La grande espansione della marina statunitense negli anni Zero (1) fu segnata da queste trasformazioni e, sebbene la sua dottrina fosse ancora in formazione nel 1914-1918, la flessibilità del suo sistema educativo le consentì di assorbire le lezioni del conflitto europeo, complice la capacità di osservare da vicino le azioni della Gran Fleet britannica nel Mare del Nord negli ultimi due anni della guerra.

Le lezioni apprese sarebbero servite nel dopoguerra per cercare di “non ricombattere la Battaglia dello Jutland, ma di vincerla” (2). Tale aspetto, combinato con le restrizioni finanziarie e costruttive del primo dopoguerra, forzò il passaggio a un assetto istituzionale aperto e flessibile, consentendo di costruire un contesto favorevole al rinnovamento dottrinario di natura decentralizzata, lasciando che l’iniziativa si riproducesse lungo tutta la scala gerarchica.

Si pensi a riguardo al fatto che gli equipaggi delle navi prendevano parte alle sistemazioni finali delle nuove unità in cantiere, consentendo anche una “personalizzazione” delle disposizioni degli strumenti a bordo. 

Le esercitazioni della flotta, i “fleet problems”, che tra le due guerre la Marina statunitense condusse regolarmente, divennero perciò la base per il dibattito interno, sperimentando progressivamente nuovi approcci operazionali e l’impatto di nuove tecnologie, spesso partendo da idee che venivano dagli ufficiali di livello medio-alto in comando di squadron.

L’origine delle task force di portaerei indipendenti, parzialmente o totalmente svincolate dalla squadra da battaglia, che si sarebbero rivelate decisive nel 1941-1945, trasse origine da questo ambiente, oltre che dalla materiale disponibilità delle navi.

Questo dialogo “aperto” e verticalizzato consentiva ai sottoposti di criticare le scelte dei superiori, conducendo, in alcuni casi, anche alla fine di carriere al comando di grandi unità operative quando le performances registrate venivano ritenute insufficienti. Il tutto sempre con lo scopo di creare una dottrina comune scevra da dogmatismi e flessibile.

La guerra naturalmente consentì di testare sul campo questo nuovo approccio. Gli americani, che scontavano all’inizio del conflitto gravi deficienze nel combattimento notturno, passata la tempesta dei primi sei mesi del 1942 e segnatamente dopo la campagna di Guadalcanal registrarono una nuova fase di maturazione in ambito operativo.

L’introduzione di nuove tecnologie, come il radar, costituivano dei vantaggi indubbi rispetto all’avversario giapponese, che disponeva di un minor numero di nuovi strumenti, mediamente meno efficaci, ma l’elemento di innovazione che rovesciò il bilanciamento dell’effectiveness tattica, spostandolo a favore della U.S. Navy, fu la costruzione dei primi Combat information centers, capaci di valorizzare al massimo il flusso di informazioni che i nuovi sistemi imbarcati dalle unità della flotta erano in grado di fornire.

Questo radicale cambiamento cominciò dai cacciatorpediniere, unità le cui dimensioni erano tali da consentire di ridurre agevolmente le distanze e gli spazi tra il comando e gli ufficiali, consentendo anche scambi di idee più efficaci che portarono, progressivamente, alla costruzione dei primi CIC come risposta alla necessità di gestire il flusso di informazioni disponibili tempestivamente.

La superiorità statunitense, sempre più evidente nella seconda metà del 1943 e ancor più nel 1944-45, trasse perciò origine anche dalla valorizzazione umana di elementi tecnici.

Analogamente, durante l’offensiva del Pacifico centrale in cui furono impiegate task force concepite appositamente in funzione dei compiti che sarebbero state chiamate a svolgere, fu la massima flessibilità operativa garantita sia al comandante sia ai suoi sottoposti a creare i presupposti per le vittorie che infransero il perimetro difensivo giapponese e condussero poi alla vittoria decisiva nella battaglia del Mar delle Filippine nel giugno 1944.

L’autore conclude sottolineando come, sul finire di questa fase e segnatamente verso la fine della guerra, dato il rapido ingresso di nuove unità e uomini nella marina, anche nella U.S. Navy cominciò a registrarsi un rallentamento della capacità di innovazione dottrinaria.

Troppi uomini inesperti, troppe navi nuove e troppa rapidità resero necessario irrigidire le istruzioni tattiche e operative, con conseguente rallentamento di quell’approccio flessibile alle innovazioni che aveva segnato la storia della Marina americana dal 1898.

Un monito quello di Hone che porta a comparazioni con le marine britannica, tra le due guerre forse irrigiditasi a causa del successo nel precedente conflitto, e giapponese, quest’ultima ostaggio, invece, di una rigidità dottrinaria centrata sullo scontro decisivo frutto del complesso di Tsushima che la caratterizzò dopo il 1905.

Aggiungiamo noi, in conclusione, che questo libro fornisce utili spunti di riflessione anche in relazione alla storia navale italiana, soprattutto se si pensa all’irrigidimento dottrinario degli anni Trenta,  di segno opposto rispetto agli sviluppi decentralizzati che consentirono significative innovazioni nell’ambito del teatro operativo Adriatico durante il conflitto del 1915-1918, rendendo evidenti i rischi connessi ad una crescita esponenziale, in tempi molto ristretti, di una forza navale.

Fabio De Ninno


Note

  1. Per “Anni Zero” devono intendersi i primi anni del Novecento (1901,1902 etc…).
  2. Trent Hone, Learning War: The Evolution of Fighting Doctrine in the U.S. Navy, 1898–1945, Annapolis, Naval Institute Press, 2018 p. 140.
  3. Crediti immagine di copertina U.S. Navy.

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