Dopo una serie di fughe di notizie, che si sono sommate ai dubbi e alle inquietudini degli esperti del settore riguardo al devastante incendio scoppiato il 12 luglio scorso a bordo dell’unità di assalto anfibio USS Bonhomme Richard (LHD-6), la U.S. Navy ha rilasciato lo scorso 27 agosto un comunicato ufficiale, che informa delle due indagini in corso, una di carattere penale, l’altra di carattere tecnico/operativo (1).

La USS Bonhomme Richard (LHD-6) si trovava ormeggiata nella base navale di San Diego al termine di un importante ciclo di lavori che l’avevano resa idonea ad operare con i nuovi velivoli F35B, permettendone un impiego di deterrente strategico e non solo di intervento tattico, fondamentale per colmare il gap della U.S. Navy nello scacchiere indo-pacifico.

Pur senza pronunciamenti al riguardo, trapelano dubbi sull’interesse e l’economicità della riparazione dell’unità, che aveva subito un radicale ciclo di lavori, con la spesa di 248 milioni di dollari, ma è comunque reduce da 22 anni di intenso e continuo servizio.

Non solo i costi ma anche (se non soprattutto) le tempistiche di un’eventuale recupero dell’unità dovranno necessariamente confrontarsi con quelli di una nuova costruzione, che andrebbe peraltro ad inserirsi in un contesto produttivo che attualmente vede i cantieri americani già saturi di lavoro e riguardo ai quali, proprio nei giorni scorsi, si è dovuta riscontrare l’impossibilità di soddisfare, in termini di quantità e tempistiche di consegna, il programma di rinnovo e potenziamento della flotta voluto dal presidente Trump all’inizio del suo mandato.

Stando a quanto riportato dagli organi di stampa sarebbe stato accertato dove ha avuto origine l’incendio e, segnatamente, nel ponte veicoli sottostante l’hangar velivoli, dove erano ammassate dotazioni recentemente imbarcate per essere distribuite e sistemate come termine lavori (2).

Il presunto punto di innesco dell’incendio – Crediti Beto Alvarez e Cristina Byvik

Il ponte veicoli, come altri ponti, era comunque ingombro di impalcature che ne limitavano l’accesso, ed il materiale provvisoriamente stivato ha continuato ad alimentare l’incendio, che ha raggiunto materiale sensibile creando già nelle prime fasi un’esplosione che ha ulteriormente propagato le fiamme e rallentato l’opera di contenimento, rispetto alla quale è stata data priorità alla sicurezza del personale.

Tale decisione ha portato a combattere l’incendio non dall’interno ma dall’esterno, con il massiccio impiego di elicotteri che tutti ricordano nei 4 giorni del disastro ma la cui efficacia è ancora tutta da verificare.

Certamente l’impianto antincendio non era in funzione, ma sinora non è stato chiarito se era stato disattivato o era parte dei lavori in atto, e quale procedura lo abbia riguardato.

Per la messa in sicurezza dello scafo e la rimozione dei detriti il 22 luglio è stato assegnato un contratto da 10 milioni di dollari alla General Dynamics NASSCO, e solo al termine di questi lavori sarà possibile una valutazione dei danni e delle reali possibilità di recupero e ripristino dell’unità;  è già stato annunciato che l’incendio si è diffuso in ogni ponte della nave e che nelle operazioni di messa in sicurezza è stato necessario rimuovere uno dei ponti superiori, probabilmente uno di quelli interessanti l’hangar.

Per gli osservatori esterni rimane ancora il dubbio su chi fosse investito della “responsabilità” sulla nave al momento del sinistro e, più precisamente, a chi spettasse in quel preciso momento prevenzione e controllo della sua sicurezza: l’unità era ancora in carico ai cantieri impegnati nel refitting o già nella disponibilità della U.S. Navy? Quel che è certo è che l’unità ai lavori si trovava in una base navale circostanza da cui si potrebbe desumere che la responsabilità dell’intervento, in questo caso, rientri in ambito militare tanto che si è data comunicazione dell’apertura di un’inchiesta relativa alle azioni di comando, affidata al comando della terza flotta e di un’indagine di sicurezza (Safety Investigation Board) affidata al Rear Adm. Kevin Byrne, alla guida del Naval Surface Warfare Center e del Naval Undersea Warfare Center.

Al riguardo, al momento dell’insediamento delle commissioni, Il comandante della flotta del Pacifico degli Stati Uniti, l’ammiraglio John Aquilino, ha commentato:

“…al fine di guidare una vigorosa autovalutazione come organizzazione che apprende, ho chiesto l’indagine per esaminare tutti i fattori casuali e che contribuiscono dall’esecuzione a livello di unità alla programmazione, alla politica e alle risorse che potrebbero essere stati un fattore in questo incidente“.

Nello stesso momento dell’incidente, ed oggi in parallelo alla commissione di inchiesta, è scattata un’ indagine penale da parte degli enti federali competenti (Naval Criminal Investigation Service e Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives).

La USS Bonhomme Richard in navigazione con la USS Ashland – Crediti immagine U.S. Navy

In merito al rincorrersi di notizie relative a questa indagine vale la pena di evidenziare come un portavoce della Marina abbia diffuso un comunicato mercoledì 26 agosto attraverso U.S.N.I. News precisando che è intenzione della U.S. Navy  “preservare l’integrità delle indagini e non abbiamo accusato nessuno“, prudenza condivisa anche da un funzionario di un’agenzia federale che ha dichiarato allo stesso organo “Non vogliamo che nessuno salti a conclusioni affrettate. Saremo accurati e metodici“.

Si sa comunque che gli agenti federali hanno individuato e hanno interrogato un marinaio muovendo dall’ipotesi che il sinistro possa aver avuto un’origine dolosa, senza giungere tuttavia, quantomeno per il momento, ad una formale imputazione.

Una serie di problemi per la U.S. Navy che dopo una lunga attesa ed in un quadro problematico della cantieristica nazionale non dispone di un’unità gap filler destinata ad integrare un Task Group nel già debole dispositivo di proiezione e deterrenza indopacifico, ma non secondario ponendo prepotentemente incognite sull’affidabilità del personale, la formazione, la responsabilità e capacità di reazione di un comando navale, anche in termini di organizzazione, prima delle modalità d’approntamento di un’unità, di supervisione sui lavori e poi di risposta inadeguata ad un’incidente di bordo sfuggito totalmente di mano, al di là delle sue cause.

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