Prima di voltare pagina ed entrare nell’era Biden (forse memore dei disastri navali dell’era Obama) la U.S. Navy ha voluto tracciare un bilancio, ribadendo e fissando le linee guida da seguirsi sino al 2030 per poter far fronte alle crescenti tensioni e minacce internazionali che provengono, soprattutto, dall’Oceano Pacifico la cui origine deve farsi risalire a fattori esterni e segnatamente alla “espansionistica” politica estera cinese che vede la flotta di Pechino impegnata in prima linea.
Nei giorni scorsi il Dipartimento della Marina degli Stati Uniti ha presentato l’aggiornamento annuale del programma trentennale stilato per la modernizzazione ed il mantenimento della forza navale.
Negli ultimi quattro anni, il piano di recupero numerico e di efficienza dell’amministrazione Trump ha portato ad un equilibrato, ma anche accelerato, programma di costruzioni che ha di fatto saturato le capacità produttive della cantieristica statunitense, con l’obiettivo di portare la flotta a 355 navi (peraltro ancora sottodimensionata rispetto agli impegni).
Il programma, aggiornato nei giorni scorsi, non si limita a mantenere gli impegni per la costruzione di nuove unità (di superficie, subacquee ed aeree) e a confermare gli interventi di modernizzazione già previsti ed utili al fine di estendere la vita operativa delle unità in servizio: la novità è l’enfasi posta sull’adozione di mezzi a controllo remoto.
Il sottosegretario alla Marina, David Norquist, ha presentato al Congresso, nei primi giorni di dicembre, il programma, classificato Future Naval Force Structure, con lo slogan “mantenere la pace oggi e domani”.
Il programma parte dal presupposto che gli Stati Uniti debbano mantenere il ruolo di “potenza navale dominante” e lo studio definisce le misure per raggiungere tale obbiettivo, oggi messo in discussione dalla crescita cinese e dai programmi di ridimensionamento messi in atto dalle precedenti amministrazioni ed in particolare da quelle “Obama”.
La proiezione e la credibilità degli Stati Uniti si basa oggi, in una aggiornata visione dell’ordine globale, nella capacità di mantenere il dominio marittimo e la libertà di navigazione e di intervento.
Norquist ha preso atto – e sottolineato – che per adeguare le proprie forze navali gli Stati Uniti devono necessariamente provvedere ad espandere l’industria nazionale sia in termini di costruzione sia di refitting e manutenzione, abbandonando quella politica minimalista che, per mantenere in vita la flotta, pensava di poter far leva sulle capacità di una base industriale che negli ultimi decenni si è sensibilmente contratta.
Il Dipartimento della Marina ha collaborato con l’Ufficio del Segretario alla Difesa e lo Stato Maggiore congiunto per elaborare il Future Naval Force Structure Study, che prevede l’approntamento ed il supporto di tre diverse flotte che dovrebbero essere in grado di fornire una risposta concreta alle esigenze attualmente prevedibili per l’anno fiscale 2045, struttura che la U.S. Navy ha definito “Battle Force 2045“.
Lo studio conta sulla rapida crescita di unità (di superficie, aeree e subacquee) a controllo remoto anche se si prevede di raggiungere il livello numerico delle “355 navi” entro il 2030, il programma derivante dallo stesso va ben oltre le navi stesse, sviluppando le condizioni per mantenerne l’efficienza ed assicurando il ricambio e l’efficienza dello strumento navale.
In particolare, la U.S. Navy pur consolidandosi attraverso assetti moderni, ma di concezione “tradizionali”, quali sottomarini d’attacco, portaerei a propulsione nucleare, gruppi aerei, forze con capacità expeditionary integrate, ed una accresciuta forza logistica, punta a migliorare la propria capacità e flessibilità di impiego con la nuova classe di grandi fregate Constellation; la loro polivalenza consentirebbe una migliore pianificazione con una più efficiente distribuzione dei ruoli delle forze di superficie, liberando risorse per missioni critiche ad alto rischio.
Inoltre lo studio prende in considerazione (probabilmente anche come soluzione per alleggerire la pressione sulla cantieristica tradizionale, oltre che per far fronte alle note carenze di personale) unità di superficie a controllo remoto di notevoli dimensioni, capaci di aumentare sia le capacità offensive sia difensive della flotta a costi ridotti.
L’ipotesi immediata è quella di impiego dei LUSV (Large Unmanned Surface Vehicle) per il supporto di fuoco, ma vengono in considerazione ulteriori possibilità di utilizzo, comprese funzioni di scoperta e controllo avanzato con particolari sensori integrabili nell’incremento di capacità di comando e controllo (C4 ed oltre) anche in questo caso in un’ottica di riduzione dei costi.
Note
- L’immagine di copertina ritrae lo USS Mustin (DDG 89) in navigazione (crediti immagine Arthur Rosen/U.S. Navy).
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