Uno dei temi più controversi della costruzione europea è stato, sin dall’inizio, quello della difesa comune, con Italia e Francia su posizioni opposte, Germania impossibilitata a contribuire in quanto soggetta alle norme del trattato di pace, Spagna estranea alle alleanze, Inghilterra prima estranea alla UE e poi poco interessata, con continui ripensamenti, anche sullo sviluppo di programmi bilaterali.
In un diverso approccio alle problematiche e con un’Unione Europea molto allargata (circostanza che amplifica ulteriormente il problema della formazione del consenso in questo delicato settore), nel dicembre del 2017 si è raggiunto un accordo che ha portato all’istituzione della Cooperazione Strutturata Permanente (c.d. PE.S.CO) cui hanno aderito 25 paesi membri dei 28 all’epoca facenti parte della UE (1)(2).
In tale ambito, nel novembre 2019, il Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha approvato 47 progetti, tra cui il programma European Patrol Corvette (E.P.C.), coordinato dall’Italia, ma con una partecipazione ed un ruolo rilevante della Francia, volto allo sviluppo del prototipo di una nuova classe di “piattaforme” militari.
Certamente un’opportunità da cogliere in cui, un ruolo da protagonista, potrebbe giocare la neonata NAVIRIS, figlia dell’unione tra Fincantieri e la francese Naval Group (3).
L’obbiettivo dichiarato di NAVIRIS è lo sviluppo e la realizzazione di progetti comuni, più o meno diffusi, nel settore della difesa navale europea con un traguardo di acquisizioni per 1,7 miliardi di euro di nuovi ordini entro il 2022 e ciò pur tenendo conto dell’agguerrita concorrenza rappresentata dalla cantieristica tedesca ristrutturata (e dall’incognita Thyssen Krupp, come si vedrà in seguito), dai gruppi industriali inglesi (BAE Systems, Babcock International, Cammell Laird e Rolls–Royce) e senza trascurare il potenziale conflitto che potrebbe generarsi tra le parti in conseguenza degli accordi internazionali bilaterali che ciascuno dei due partner continua a mantenere con importanti attori del settore in altre aree geografiche (4).
Il programma E.P.C. non è quindi solo un’opportunità, ma una concreta possibilità di portare a regime un progetto e mettere a punto norme e procedure comuni che rendano possibile l’integrazione di due sistemi industriali simili come prodotti ma non affini, che hanno agito sinora in feroce opposizione (5).
Sulle nuove unità – che da un punto di vista lessicale non sarebbe corretto definire “corvette”, quantomeno nel significato che tale termine assume nell’ambito del gergo navale italiano (6), circolano una serie di anticipazioni ma è difficile stabilire se si tratti di una ricerca di consenso politico, di tentativi di sondaggio del mercato e della concorrenza, o di verifica del potere contrattuale di ciascuno degli attori, compresi fornitori e concorrenti in attesa di ritagliarsi fette di fornitura in cambio di desistenza.
Per inquadrare meglio i modelli di ottimizzazione, di assegnazione e ripartizione delle competenze, ed ancor prima di parlare di commesse, pare utile però chiarire quali sono gli obiettivi che la PE.S.CO. dovrebbe conseguire.
La PE.S.CO. si pone quali fini:
- Lo sviluppo integrato e comune di capacità per la Difesa da mettere a disposizione delle operazioni militari dell’UE;
- Il rafforzamento delle capacità e della credibilità dell’Unione Europea quale attore internazionale per la sicurezza;
- L’ottimizzazione della spesa per la Difesa mantenendo inalterata le possibilità e capacità di protezione dei cittadini della UE.
La priorità riguarda l’avvio e la gestione del programma, verificando e ratificando gli obiettivi e la validità dei progetti, almeno nel medio termine, con le possibilità di adeguamento o refitting.
Va peraltro considerato che la UE, in ambito PE.S.CO., sembra essersi concessa una pausa di riflessione, se non di verifica, con riferimento ad eventuali nuovi programmi, “congelando” il blocco dei 47 progetti/programmi già esaminati e approvati: solo tra due anni, gli Stati partecipanti torneranno ad esaminare eventuali nuove proposte, concentrando per il momento ogni risorsa sulla realizzazione degli attuali, con una valutazione costante sulla loro fruibilità (obiettivi, risultati e ricadute) e avanzamento.
Per alcuni progetti già avviati la valutazione riguarderà anche il mantenimento del consenso reciproco e della rispondenza degli Stati membri nell’esecuzione dei progetti loro assegnati: in questa fase iniziale gli impegni hanno riguardato il consolidamento di un accordo su regole e specifiche comuni.
Questo nuovo e diverso impegno dell’UE in materia di difesa e sicurezza, con importanti stanziamenti per i prossimi anni, ha evidentemente allarmato gli Stati Uniti preoccupati da una possibile riduzione dei contributi che i Paesi europei dovrebbero destinare alla NATO: un aspetto non secondario, che è stato, ed è, uno dei cardini della politica estera statunitense nei confronti della UE, e che l’Amministrazione USA valuta anche sotto un’altra prospettiva, quella delle possibili ed implicite penalizzazioni che potrebbero derivarne per le società americane (7).
L’UE, da parte sua, ha replicato a queste obiezioni evidenziando che mentre i Paesi europei continuano ad acquisire armamenti negli USA, l’industria europea non riesce ad ottenere né compensazioni né importanti sbocchi sul mercato americano (8).
Questi attriti rendono necessaria una breve digressione per chiarire come l’accordo PE.S.CO. si ponga rispetto ai partner extra UE.
In questo “vivace” contesto internazionale l’accordo PE.S.CO. prevede che la partecipazione (ossia le forniture) di paesi e di industrie extra UE debba avere carattere eccezionale e che tale eccezionalità vada valutata in ragione del valore aggiunto che la partecipazione del paese e dell’industria “straniera” può apportare ai progetti gestiti dai singoli Stati membri con fondi UE.
La finalità dell’accordo PE.S.CO. e dei suoi progetti è l’incremento della collaborazione e dell’integrazione tra un sempre maggior numero di Stati membri dell’Unione Europea.
La cooperazione ed il partenariato con soggetti esterni, seppur in alcuni casi necessari e addirittura determinanti ed indispensabili sotto l’aspetto tecnico, non rientra tra le priorità né coincide con gli obbiettivi dello strumento, il cui scopo è l’incentivazione di una sempre più stretta cooperazione tra Stati membri, alcuni dei quali si sono già attivati investendo risorse proprie, predisponendo piani di sviluppo e progetti specifici.
Al riguardo, per una migliore comprensione, è da notare che sono già stati avviati sette dei nuovi progetti PE.S.CO., approvati nel novembre scorso – finalizzati alla formazione e/o alla cooperazione operativa/tecnica in settori quali cyberwarfare, attività e ricerche sottomarine, supporto medico e difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare (CBRND), in aggiunta alla simulazione operativa, sia di teatro che globale.
La maggior parte dei progetti riguarda pertanto l’incremento delle collaborazioni infra UE ed il miglioramento delle capacità in ambiente navale, aereo e spaziale.
Per ogni progetto viene individuato un paese coordinatore e definiti gli interessi dei partecipanti.
Al fine di ampliare il più possibile la partecipazione ai programmi i Paesi membri interessati, prima di aderirvi ufficialmente, possono assumere lo status di “paese osservatore”, che potrebbe evolvere in quello di “aderente” nel corso dello sviluppo del progetto/programma (9)
Dopo questa panoramica generale, volendo entrare nel vivo del programma “European Patrol Corvette” (E.P.C.), deve sottolinearsi in primis come lo stesso sia coordinato dall’Italia cui si affianca la Francia.
Il programma è mirato allo sviluppo di una nuova classe di piattaforme navali militari che consenta di ospitare diversi sistemi e carichi utili – di fatto un’unità multiruolo – capace di assolvere, con un approccio modulare e flessibile, un gran numero di compiti e missioni (10).
L’E.P.C. è concepita come una piattaforma da svilupparsi sulla base di un progetto comune, adattabile alle specifiche esigenze dei singoli Stati membri che avranno la possibilità di modularla e di fruirne in diverse configurazioni.
Una piattaforma comune su cui poter lavorare anche con specifiche nazionali, con possibilità di adottare diversi sistemi d’arma ed un diverso carico utile: un unico tipo di scafo (scartate le soluzioni catamarano/trimarano), compatibile con i diversi teatri operativi in cui potrebbero trovarsi coinvolti i vari stati membri.
Il dislocamento delle nuove unità dovrebbe aggirarsi intorno alle 3.000 tonnellate, quindi molto vicino a quello delle unità recentemente realizzate da Fincantieri per la Marina del Qatar, ipotesi in base alla quale si sono sbizzarrite le anticipazioni: un dislocamento che consente certe larghezze e lascia margini di sviluppo nel prevedibile periodo di vita delle unità, ma anche un dislocamento che elimina dal quadro molti dei progetti oggi offerti sul mercato.
Concetto trainante del progetto è stato quello della logistica “interna”, caratteristica propria di queste unità, ma per la prima volta grande attenzione viene riservata anche alla “logistica esterna” e alla reale disponibilità di basi, con la possibilità per le unità di essere dislocate praticamente in qualsiasi porto.
Le unità dovranno essere in grado di operare da infrastrutture portuali minori, con minimo supporto da terra, anche in termini di alimentazione, contenendo, tra l’altro, l’immersione massima al di sotto dei 5,5 m.
Caratteristiche che comportano per il dislocamento indicato uno scafo di una certa larghezza, per una lunghezza dichiarata intorno ai 110 m, anche se l’esperienza, esigenze di abilità e l’installazione di armi con adeguati campi di tiro fanno pensare ad una possibile maggiore lunghezza (ed a un dislocamento un poco superiore).
Sull’apparato motore, o più giustamente sul sistema propulsivo e per la produzione di energia elettrica, le anticipazioni paiono confuse, certamente inattendibili: allo stato sembrerebbero unanimemente scartate soluzioni TAG preferendosi optare per soluzioni combinate diesel e/o propulsione elettrica.
Il quadro offerto dal mercato interno alla UE e le stringenti necessità di rimpiazzo di unità obsolete od usurate da parte di alcune Marine, rende peraltro evidente la necessità di procedere speditamente allo sviluppo del progetto:
- La Francia e l’Italia sono già in ritardo nel rimpiazzo dei propri O.P.V. (Offshore Patrol Vessel) con unità di nuova concezione e la conseguenza sembra quella di far pendere la bilancia del programma E.P.C. a favore della nuova joint-venture “NAVIRIS”;
- Non si tratta delle uniche Marine con necessità immediate e questo spiega la presenza, già in fase di sviluppo del programma, di altre nazioni, con un gruppo così conformato:
Italia (nazione guida)
Francia
Spagna
Grecia
Marine tutte allineate su caratteristiche modulari, adattabili a esigenze diverse anche in tempi diversi: la sola Francia ha quantificato la propria esigenza in 8 esemplari, e la Marina Militare, almeno come aspirazioni, dovrebbe attestarsi su un simile quantitativo (non è noto su quale orizzonte temporale).
L’armamento più prevedibile potrebbe essere il seguente, sempre riportando le estrapolazioni correnti (11):
- Modulo da 8 celle per missili MBDA Aster 15 o Camm ER;
- Cannone Leonardo da 76/62 “Sovraponte” con munizionamento VULCANO;
- Sistema radar principale Leonardo AESA Grand Naval;
- Sistema di GE integrato al precedente;
- Missili sup-sup antinave MarteER o Teseo Evolved;
- Sonar filabile (cortina) per la ricerca AS;
- Sonar a scafo eventuale;
- Elicottero medio/pesante con capacità di ricovero a bordo;
- Lanciasiluri e decoy (anche se non presi inconsiderazioni nel caso delle circolanti illazioni).
Sempre in tema di rumors, sulla falsariga e schema operativo delle classi che andranno a sostituire, la Marina Militare considererebbe le E.P.C. inizialmente solo come pattugliatori, con una secondaria capacità missilistica antiaerea importante, a cui affidare compiti di “seconda linea”, lasciando quelli di prima linea alle FREMM, ai PPA ed ai DDX, ma questo comporta una spiccata modularità e disponibilità di spazi e margini di esponente di peso, fattori tutti a vantaggio del progetto, delle diverse esigenze degli utenti europei ma anche della flessibilità ed adattabilità dello stesso in un’ottica di esportazione extra UE.
L’economia di scala è la priorità logica e mentre tutte le illazioni riguardano la configurazione dei sistemi operativi e di combattimento, poco è trapelato, o forse poco si è avanzato, sui sistemi di propulsione, se si si considera un’unica configurazione o si valutano alternative con certe compatibilità e componenti comuni.
Non è il caso di entrare, in questa fase, in speculazioni sulle possibili configurazioni d’arma ma è possibile, solo come riferimento, tenuto conto del consolidato e di quanto prima accennato, considerare la soluzione sviluppata ed ottimizzata per il Qatar quale possibile punto di partenza per valutare sviluppi e alternative del nuovo progetto.
Qual è l’orizzonte di approntamento delle prime unità e qual è la prevedibile progressione delle consegne?
Non sembra un dato certo né una decisone acquisita, quindi i sistemi d’ arma – che risentono di una più rapida se non vertiginosa evoluzione e tenendo conto, almeno per il Mediterraneo, di contingenze di impiego anch’esse da ridefinire continuamente – sono per il momento da considerare solo mere ipotesi.
Con certezza si può solo affermare che il mercato ed i produttori europei sono in grado di fornire armi, sensori e sistemi C4 up to date (scelte diverse potrebbero derivare da altri tipi di accordo, o da per il momento imprevedibili standardizzazioni di sistemi a livello NATO).
A parte le schermaglie (spesso vere e proprie aggressioni) commerciali a cui si è assistito sui mercati terzi, la collaborazione franco-italiana che aveva preso forma con la classe Orizzonte e andata a regime con le FREMM, assicura un vantaggio alla cantieristica dei due paesi, oggi nell’espressione NAVIRIS, oltre a referenze difficilmente attaccabili dalla concorrenza interna, riconducibile a spagnoli, tedeschi e olandesi, escludendo i britannici.
La tempestiva e coraggiosa decisione di modificare, allungandole le prime unità già costruite od in costruzione ha conferito a questo progetto nuove e migliori capacità di crescita ed una affidabilità ben diversa delle corrispondenti unità britanniche.
Un panorama tecnico/cantieristico se non idilliaco certamente tale da consentire di partire con il piede giusto: le incognite, che si profilano all’orizzonte, non riguardano tanto lo sviluppo e la realizzazione del programma quanto le strategie incrociate, sia europee che soprattutto a livello globale, su cui i due principali partner, almeno in apparenza, non sembrano essere stati, sino ad oggi, molto trasparenti.
Alleanze, trasferimenti ma anche “trafilamenti”, voluti o meno, di tecnologie nell’ambito di alleanze in essere, consolidate od in studio, che riguardano i partner franco italiani appaiono un pericolo concreto da scongiurare.
Da una parte, ancora in un recente passato, si è assistito ad una feroce concorrenza, in alcuni casi con aspetti apparentemente inspiegabili ed al limite del “suicidio” commerciale (v. le gare in Australia ed in Brasile), con la reciproca esclusione sui mercati terzi nel caso di gare i cui tempi coincidevano proprio con i periodi di negoziato tra le parti.
Qualche dubbio, con precedenti che risalgono a decenni or sono, può sorgere anche in merito ai legami della cantieristica e di alcune società di armamento francesi con la Cina, ma Fincantieri non è stata da meno in tempi più recenti, come dimostrano gli accordi commerciali stretti con la multinazionale cinese China State Shipbuilding Corporation (CSSC), risalenti all’agosto del 2018 e teoricamente limitati alle costruzioni navali mercantili.
Un accordo reale paritetico o un cavallo di troia di intelligence economica?
Il timore francese, certamente anche strumentale nel quadro delle difficili e contrastate trattative su NAVIRIS, è che il partenariato tra Fincantieri e CSSC costituisca un imbuto di contatti e trasmissioni che potrebbe rendere vulnerabile il gruppo francese, avvicinando pericolosamente i cinesi alle proprie specifiche zone di interesse, ossia alle conoscenze tanto nella costruzione di navi da guerra quanto nella gestione della propulsione nucleare di cui sono dotati i sottomarini e la portaerei Charles De Gaulle.
Fincantieri, con la travagliata acquisizione del 50% dei cantieri di STX di Saint-Nazaire, nel febbraio del 2018, potrebbe, inevitabilmente, avvicinare troppo i cinesi agli scali di Saint–Nazaire di Naval Group e, dal momento che i gruppi Thales e Mbda lavorano in stretta collaborazione con l’industria navale francese, ciò potrebbe comportare un rischio di spillamenti (senza necessariamente parlare di spionaggio sistematico) tecnologici a detrimento degli alleati francesi.
Altro problema possibile di attrito, e certamente di concorrenza tra soci in settori affini, sono i colloqui in corso tra Thyssenkrupp e Fincantieri sull’ipotesi di costituire una joint venture nel settore della difesa.
Un’ipotesi dettata da due esigenze convergenti: quella della Thyssen, di fronte ad una serie di fusioni nella cantieristica tedesca che potrebbero isolarla, di acquisire come industria una massa critica contrattuale adeguata al mercato, che riguardi le unità di superficie oltre a certe caratteristiche di verticalizzazione, e quella di Fincantieri di pareggiare i suoi squilibri nel campo delle unità subacquee.
La cantieristica tedesca in merito alla costruzione di navi di superficie è stata teatro negli ultimi anni di acerrime contese per l’assegnazione delle commesse che hanno portato a contenziosi tra i committenti (Ministero della Difesa e Marina Federale) e i costruttori, sia per le modalità di assegnazione delle commesse, sia per i costi sia per le mancate prestazioni delle unità costruite (più sfumate e mantenute, per quanto possibile, riservate).
Ove ciò non bastasse i due principali programmi, le corvette classe K 130 (di ridotto dislocamento, forse un po’ datate anche se il programma è ancora in corso, con completamento previsto nel 2025, essenzialmente come gap filler per l’ entrata in servizio delle unità dei nuovi programmi) e le future unità multiruolo K180 (di elevato dislocamento, con la prima commessa appena assegnata tra molte polemiche), come caratteristiche, appaiono lontane dal poter costituire un riferimento per unità comuni europee (12).
In questo contesto il governo tedesco ha stilato, dopo una difficile evoluzione, un “Documento di strategia del governo federale per rafforzare l’industria della sicurezza e della difesa” in cui ha peraltro sottolineato l’intenzione di “…lavorare per un maggiore consolidamento industriale in Europa e fare il possibile per sostenere nuovi processi e sinergie…”, documento che per certi versi si distanzia dagli accordi PE.S.CO. e va interpretato come indice dello scarso interesse tedesco per il programma E.P.C.
Il programma di rafforzamento dell’industria navale tedesca voluto dal governo federale successivamente agli accordi PE.S.CO., ha di fatto propiziato una fusione tra il Gruppo Lürssen ed i German Naval Yards di Kiel (che a sua volta, nel settore delle unità veloci controlla la CMN francese): la spinta centripeta del governo tedesco, volta a favorire aggregazioni produttive nel settore della difesa navale, ha preso le mosse dalla constatazione che, pur disponendo la Germania di ottimi cantieri ed eccellenti tecnologie, i soggetti attuali non godevano di dimensioni e capacità sufficienti per soddisfare ordini di importanza strategica su grande scala.
Lürssen e German Naval Yards Kiel erano tra i concorrenti della gara d’appalto per la costruzione della nuova classe di fregate K180, conclusasi (?) a gennaio con l’assegnazione del programma al cantiere navale olandese Damen Schelde, associato a Thales e Blohm + Voss (parte del gruppo Lürssen).
Un’assegnazione contestata dai German Naval Yards di Kiel, che ritengono di aver presentato la migliore offerta, e che, per tale ragione, hanno presentato un ricorso formale e richiesto la riapertura della gara.
La fusione tra i due gruppi potrebbe risolvere questo contrasto e consentire di evitare ulteriori ritardi nello sviluppo del programma, ma soprattutto rappresenta la ristrutturazione e unificazione della cantieristica tedesca ed olandese
Se si accettano le motivazioni del Governo Federale in merito alla cooperazione europea e ad una maggiore integrazione a livello europeo dell’industria della sicurezza e della difesa tedesca, l’ipotesi di una integrazione tra Thyssenkrupp e Fincantieri potrebbe rappresentare un ulteriore passo in questa direzione (lo spirito dell’accordo PE.S.CO. dovrebbe però spingere le parti a coinvolgere più membri della UE).
Un quadro certamente confuso, che appare tuttavia più orientato in difesa dell’industria navale tedesca che animato da una concreta volontà di integrazione europea, puntando, da un lato, a risolvere il gravissimo problema del rinnovamento della prima linea della Marina Tedesca e dall’altro a soddisfare l’esigenza del Gruppo Thyssen di evitare una diminuzione del suo potere contrattuale e l’esclusione da nuovi programmi, potendosi presentare anch’esso, qualora riuscisse ad allearsi con altre realtà del settore, come parte di un gruppo integrato verticalmente.
Una prospettiva, quella di una possibile joint venture (?) con Fincantieri, che trova solide fondamenta su una più che decennale collaborazione nel campo dei sommergibili (che ha visto sinora Fincantieri di fatto in un ruolo di licenziataria, ed ha da tempo escluso la cantieristica italiana dal mercato mondiate delle unità subacquee, lasciando sotto ogni aspetto in vantaggio la parte tedesca, pur riconoscendo che le aspirazioni italiane in questo settore erano a suo tempo velleitarie, per mancanza di prodotti ).
Oggi, con un innegabile recupero di conoscenze e capacità, tale accordo potrebbe anche essere visto, da parte italiana, come riequilibrio di forniture e compensazione, forse con uno spiraglio di partecipazione al mercato globale, gettando le basi di una realtà industriale integrata con un potenziale di 3,4 miliardi di Euro di ricavi.
In merito si è già fatto, volutamente, trapelare che il gruppo italiano potrebbe apportare le proprie attività della difesa e la Thyssenkrupp le proprie attraverso la controllata Thyssenkrupp Marine Systems (TKMS), dedicata alla costruzione di sottomarini e navi di superficie (13).
Anche se è teoricamente giusto affermare, da parte italiana, nella falsariga delle dichiarazioni tedesche, che in effetti si vuole affrontare a tutti i livelli ed in tutti i settori “il consolidamento dell’industria europea della difesa” nonché – commento di Fincantieri sul caso – che “…il programma comune con i tedeschi per la costruzione di sommergibili costituisce un’occasione concreta per parlare di futuri scenari di consolidamento…”, le preoccupazioni espresse dai francesi sembrano avere qualche fondamento, soprattutto agli effetti dell’opinione pubblica interna e dei sindacati.
Fincantieri può contare, sia come massa critica, sia come risultati economici, sia come referenze globali, sul proprio investimento consolidato in FMM, Fincantieri Marinette Marine, fiore all’occhiello del gruppo (a maggior ragione dopo la recente prima assegnazione di un contratto per la costruzione delle nuove Fregate “FFG (X) che nella US Navy sostituirà l’attuale progetto LCS), ma appare necessario evitare il rischio che la crescita, non solo dimensionale, del Gruppo si tramuti in un motivo di diffidenza, se non di attrito, col partner francese ed allo stesso tempo garantire che i suoi piani di sviluppo non contrastino con i concetti informatori del programma PE.S.CO.
E’ facile prevedere che un contratto del valore di 795 milioni di dollari, relativo al prototipo, con opzione per altre nove unità (che farebbero ascendere il valore di commessa a $ 5,5 miliardi se tutte le opzioni fossero esercitate), qualora portato a termine, contribuirà a consolidare il potere contrattuale di Fincantieri: tale circostanza potrebbe infastidire i partner, intesi sia come soci industriali, sia come fornitori di sistema, sia come committenti (in primis la UE).
Alla luce di tali considerazioni appare evidente l’interdipendenza tra la realizzazione del programma E.P.C. e le dinamiche societarie dei grandi gruppi industriali europei operanti nel settore delle costruzioni navali: un aspetto da non sottovalutare se si vuole, realmente, raggiungere l’obiettivo di una difesa comune europea.
Note
- L’acronimo Pe.S.Co. Assume il significato di Permanent Structured Cooperation.
- Oggi 27 dopo l’uscita del Regno Unito dalla UE.
- Si tratta di una joint–venture paritaria consolidata il 14 gennaio 2020.
- Certamente la BREXIT ha rivoluzionato i giochi e forse sminuito il potere contrattuale dell’ industria e della cantieristica britannica, comunque in difficoltà con le ultime costruzioni; è cambiato l’orizzonte, ma è anche opportuno sottolineare certe difficoltà o criticità, sia a livello aziendale sia livello di tenuta degli accordi e della ripartizione/assegnazione di commesse: al fine di consolidare una svolta reale sotto il profilo della difesa comune europea, occorre che sia definita ed accettata una politica di difesa comune che incida realmente sulle dinamiche conflittuali ed essere sicuri, anche rispetto ai concorrenti, che le molteplici rivalità, tecniche, occupazionali, geopolitiche tra Francia e Italia vengano realmente e stabilmente superate.
- In merito alla cooperazione bilaterale Franco Italiana, una pietra miliare è rappresentata dall’impostazione a Saint Nazaire, proprio in questi giorni, del primo rifornitore di squadra (BRF) di una classe di quattro, sviluppato dal progetto Vulcano di Fincantieri. Tale programma congiunto è comunque precedente alla costituzione di NAVIRIS, e rientrava come progetto bilaterale negli accordi OCCAR (tra l’altro non state mai chiarite le sovrapposizioni ed il coordinamento tra i programmi OCCAR – che hanno origine nel 1996, non riguardano tutti i paesi UE e soprattutto coinvolgono il Regno Unito – ed i programmi PE.S.CO.). Nato come programma/progetto esclusivamente nazionale, dopo vari passaggi e ripensamenti, la costruzione delle unità di questa classe è stata annunciata agli inizi del 2019 con l’assegnazione della commessa ad un raggruppamento composto dai Chantiers de l’Atlantique (capo commessa) e Naval Group. Le unità saranno costruite insieme (termine piuttosto vago) a Fincantieri, che dovrebbe assumere il ruolo di subfornitore: al di là del progetto del Vulcano, ampiamente adattato alle specifiche francesi, Fincantieri dovrebbe fornire la sezione prodiera di tutte le unità che – dopo il rimorchio in Atlantico – verrebbe unita a Saint-Nazaire al resto dello scafo, costruito sul posto. L’allestimento, i sistemi operativi e d’arma saranno invece responsabilità di Naval Group, a carico del sistema di combattimento. Uno schema che applicato in un diverso contesto di scambi e coproduzioni potrebbe servire di riferimento anche per le E.P.C.
- Per Corvetta, tradizionalmente, si intende un’unita costiera, di piccolo dislocamento, mentre le E.P.C. sono state inserite nel programma a lungo termine come pattugliatori, PPX.
- Una problematica peraltro non troppo dissimile da quella che la Brexit ha aperto con riferimento ai rapporti con il Regno Unito.
- Questi rilievi peraltro mettono, sotto molti aspetti, in difficoltà l’industria italiana, in particolari Fincantieri, che gode, oltre oceano, di una posizione migliore, se non previlegiata.
- Una possibilità su cui paesi potenzialmente interessati non si sono ancora espressi.
- Un concetto che ricorda molto quelli originali del programma LCS della US Navy, in cui Fincantieri ha svolto un ruolo primario, valutando ed integrando sistemi di origine diversa.
- Anche se, per la configurazione, si dovrebbe prestare una certa attenzione tanto alle soluzioni consolidate per le recenti esportazioni quanto alle esperienze USA, sia in merito alle LCS sia in merito ai nuovi programmi.
- A seconda delle fonti consultate le K180 possono essere anche indicate come MKS180 (Mehrzweckkampfschiff 180).
- Nel quadro di un eventuale accordo suscita una certa curiosità e un corollario di aspettative, il ruolo che potrebbe giocare Fincantieri nella commessa brasiliana vinta da Thyssenkrupp Marine Systems, in consorzio con EMBRAER, per le nuove unità brasiliane classe TAMANDARE, che dovrebbero entrare rapidamente in costruzione (totalmente in Brasile) ed essere consegnate tra il 2025 ed il 2028 (la commessa era stata assegnata a TKMS “contro” le offerte francesi ed italiane, ed è basata su una riedizione del concetto MEKO).
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