Dopo la sua avventura come sommergibile commerciale, finita il 10 dicembre 1916, il Deutschland fu rilevato dalla Marina imperiale tedesca e il 27 (o il 10, secondo altre fonti) febbraio 1917, con il suo nuovo nome assegnato di U-155, fu inviato alla base navale del Mare del Nord a Wilhelmshaven, dove iniziò la sua conversione in sommergibile incrociatore, pronto ad iniziare un’altra stagione della sua vita.
Il motivo di questo cambiamento fu dovuto sia al fatto che la guerra alle unità navali militari e civili anglo-francesi in Atlantico e Pacifico era sempre più affidata ai sommergibili (i cosiddetti “Corsari del Kaiser”, cioè le navi tedesche di superficie che avevano imperversato in quegli oceani dal 1914 agli ultimi mesi del 1916, erano state praticamente tutte affondate o costrette all’internamento), sia all’ormai prevista imminente entrata in guerra a fianco delle Nazioni in guerra contro la Germania degli Stati Uniti, con tutta la loro potenza industriale e navale.
Per quel che riguarda in particolare l’ex sommergibile da trasporto Deutschland, ora soltanto U-155, per poterne fare un sommergibile incrociatore, ci si trovò di fronte a due problemi di natura ingegneristica non di poco conto.
Prima di scendere nei dettagli, vale qui la pena fare una breve digressione, accennando alla distinzione fatta da taluni tra incrociatore-sommergibile e sommergibile-incrociatore (1).
Il primo avrebbe dovuto essere quasi un incrociatore vero e proprio, ma con la capacità di immergersi, e il cui armamento principale sarebbe stato costituito da almeno una o due torri binate di medio-grosso calibro (fino a 203 mm), in grado quindi di attaccare non soltanto naviglio commerciale, ma anche unità militari leggere o comunque dotate di artiglieria di calibro nettamente inferiore (2).
Il secondo era in buona sostanza un normale sommergibile armato di siluri che, dovendo operare in mari lontani principalmente contro il traffico commerciale, disponeva anche di un paio di cannoni di calibro da 120 mm fino a 150 mm per poter attaccare i propri bersagli risparmiando i siluri, armi ben più costose di qualche proiettile d’artiglieria (3).
La trasformazione da sommergibile da trasporto Deutschland in sommergibile incrociatore U-155 comportò lavori senz’altro complessi, sia per l’installazione in coperta dei due pezzi singoli Krupp da 150/40 mm (che, pesando con i loro affusti oltre 5 tonnellate ciascuno, avevano richiesto rinforzi alla struttura nonché diversa sistemazione di pesi a bordo e zavorra per non intaccare la stabilità del sommergibile, modifiche d’altra parte possibili per l’ ampia riserva di spazi disponibile per destinazione originale del battello), sia per l’installazione di sei tubi lanciasiluri all’esterno dello scafo resistente.
Sull’U-155 non vennero installati i due cannoni da 88 mm (8.8 cm SK L/30) di cui vennero invece dotati gli altri sommergibili della classe U-151. Nel quadro delle modifiche strutturali e della distribuzione di pesi già segnalata vennero inoltre apportate modifiche agli spazi interni per consentire la sistemazione di un equipaggio più numeroso del precedente (56 persone, di cui 6 ufficiali contro le 26 persone di cui 3 ufficiali del Deutschland) e del munizionamento per i due cannoni.
Infine, fu modificato, ampliando e rialzando il ponte di coperta a prua e a poppa della falsa torre, per permettere il rinforzo delle strutture e realizzare le piazzole di servizio dei cannoni, che costituivano l’armamento
principale del battello, oltre a costruire un sorta di paraonde a protezione della zona calpestabile.
L’armamento dell’U-155 proveniva dalla vecchia corazzata Zähringen non più operativa dal gennaio 1916, con i due cannoni da 150 mm (15-cm SK L/40) che sarebbero stati in tutta evidenza l’armamento principale, in considerazione del fatto che i sei impianti lanciasiluri singoli da 450 mm, installati all’esterno dello scafo resistente, ma all’interno dello scafo “leggero”, erano soggetti alle limitazioni tipiche di queste sistemazioni.
La loro nuova collocazione, (che li vedeva posizionati probabilmente con angolo fisso di 15° su ambedue i lati, non essendo possibile un lancio assiale), aveva infatti richiesto la costruzione di una struttura a traliccio di rinforzo e contenimento, senza che si potessero evitare, per peso e dimensioni – e quindi braccio di leva, con un forte movimento di inerzia – notevoli sollecitazioni sulla struttura chiodata dello scafo resistente che in servizio portarono a trafilamenti di acqua, nonché a possibili perdite e contaminazione di combustibile.
Inoltre, essendo i tubi lanciasiluri nati per una installazione interna e protetta, il fatto di essere così esposti alle intemperie e alla libera circolazione dell’acqua di mare, li rendeva soggetti a fenomeni di corrosione e incrostazioni, con conseguenti problemi meccanici e relative difficoltà a effettuare le manutenzioni ed i controlli di routine sulle armi durante le missioni. In considerazione di tali limiti, i lanciasiluri potevano essere ricaricati solamente in porto, rendendoli accessibili attraverso appositi passaggi e interventi sul falso scafo (4).
Finalmente, il 24 maggio 1917, l’U-155, al comando del Capitano di corvetta Karl Meusel che, con altri due ufficiali, aveva partecipato ai due viaggi del Deutschland, allora comandato dal capitano König, e con un equipaggio quasi del tutto nuovo, lasciò Kiel, entrò nel Mare del Nord e, passando al traverso delle coste scozzesi, come aveva fatto nei suoi due precedenti viaggi da sommergibile commerciale da trasporto, si diresse a sud-ovest, al largo delle isole Azzorre per la sua prima crociera come sommergibile da guerra di corsa.
Prima crociera
La prima crociera dell’U-155 durò ben 107 giorni e portò all’affondamento di 19 navi da carico, 11 a vapore e 8 velieri. A quanto risulta, si registrarono però una serie di guasti meccanici che, fortunatamente, vennero risolti dal personale di bordo e un problema legato alla scarsa velocità del battello, che non gli consentiva di inseguire le navi avvistate.
Meusel lo risolse ricorrendo a un’efficace quanto rischiosa tattica: cercare di porsi sulla rotta del bersaglio, emergere e cercare di “tagliare la T”, in modo da poter fare fuoco con entrambi i suoi cannoni. Ciò, a dimostrazione dell’essere prevalentemente un’unità cannoniera e non silurante. Fortunatamente per lui e il suo equipaggio, nessuna nave cercò di speronare l’U-155…
La prima vittima fu una vecchia nave da carico, la norvegese Hafursfjord (ex britannica Beechville), affondata il 2 giugno 1917 tra l’Islanda e la Scozia, a circa 225 miglia a nord-ovest dell’isola di Lewis, mentre trasportava un carico di sale da Cadice a Haugesund, nella Norvegia meridionale.
Pochi giorni dopo, il 13 giugno, la fortuna assistette invece il cargo americano D.N. Luckenbach, che riuscì a evitare le cannonate dell’U-155. Nei due mesi successivi la stessa sorte non toccò ai piroscafi Benguela, Siraa, Ellen e Hanseat (norvegesi), Aysgarth, Coblenz e Calliope (inglesi), Scottish Hero (canadese), Ruelle (francese), Chalkydon (greco), e al brigantino norvegese a tre alberi Siraa.
Toccò poi a una nave a vela italiana, il Doris (6), di 1353 t., un brigantino a palo in ferro della Società di Navigazione Olivari di Genova, in viaggio da Buenos Aires a Gibilterra al comando del capitano Francesco Glorio con un carico di grano, che andò incontro al suo destino, affondato con cariche esplosive, il 21 luglio 1917, a circa 90 miglia a sud-ovest dell’isola di Santa Maria,
nelle Azzorre.
Per l’U-155 quel giorno fu davvero fortunato, perché riuscì ad affondare altre due navi a vela, l’americana John Twohy e l’inglese Willena Gertrude. Scampò invece all’affondamento il cargo inglese Coblenz, che, pur danneggiato dalle cannonate dell’U-155 a circa 470 miglia ad ovest del Portogallo, riuscì comunque a fuggire.
La mattanza, soprattutto di navi a vela, proseguì e nelle tre settimane successive, finirono in fondo all’oceano due navi da carico britanniche Snowdonian e Iran e i velieri francesi Madeleine II, Alexandre e Marthe e lo statunitense Christiane.
Il Madeleine II era partito da Le Verdon-sur-Mer, porto situato alla foce della Gironda, con destinazione Sydney assieme ad altre quattro navi a vela, due, Reine Blanche e Ville de Mulhouse, dirette anch’esse in Australia, e due, Alexandre e
Marthe, dirette in Cile. Il convoglio era stato scortato da tre pattugliatori fino all’uscita dal golfo di Biscaglia, quindi si era inoltrato in Oceano Atlantico.
Interessante quanto scritto dal comandante del Madeleine II in relazione all’attacco e all’affondamento della sua nave, avvenuto il 31 luglio a circa 325 miglia ad ovest-nord-ovest dell’isola di Madeira (33° 45’N-022° 50′ W):
Je soussigné Lévêque Alexandre, capitaine au long-cours, lieutenant de vaisseau auxiliaire, commandant le trois-mâts français “Madeleine” de Bordeaux, jaugeant brut 2.700 tonnes, appartenant à MM. A. D. Bordes & Fils de Paris, déclare avoir quitté la rade du Verdon, le vendredi 6 juillet 1917 à 6 heures du soir à destination de Sydney (Australie) ayant à bord 1.800 tonnes de lest, l’équipage se composant de trente et un hommes en tout et le navire en parfait état de navigabilité. Des petits vents de la partie Est qui durèrent deux jours me permirent de faire route à l’Ouest et de suivre le convoi composé de neuf voiliers escortés de trois patrouilleurs et dont faisait partie mon navire. De jolies brises variables de l’W.S.W. au W.N.W. étant venues m’obligèrent de louvoyer pendant deux jours et désagrégèrent le convoi que les escorteurs avaient quitté le dimanche 8 juillet à 7 heures du soir. Après quelques jours de calmes intermittents, de petits vents dominants de l’Est me permirent de faire route par beau temps. Le dimanche 29 juillet échangé des signaux avec le 4/mâts “Alexandre” allant comme nous. Le mardi 31 juillet à sept heures du matin, me trouvant par latitude 33° 45′ longitude 22° 50′ W (de Greenwich) et faisant route au S.W. avec très faible brise d’E.N.E., j’ai été attaqué par un sous-marin ennemi venant du N.E. et signalé quelques instants avant par l’homme de vigie comme se dirigeant vers nous. Fait prendre aussitôt les dispositions de combat, mis en marche le moteur pour les appareils d’émission de T.S.F. et lancé aussitôt l’attaque, le signal de détresse S.O.S. suivi de notre position.
L’adversaire du type le plus grand, portant deux pavillons indistincts, ouvre le feu à 7 H.15 avec sa pièce de chasse dont j’estimai par la suite le calibre à 150 m/m à tir rapide et aussitôt la lutte d’artillerie s’engage à environ 8.000 mètres de distance, chacun à bord étant à son à son poste de combat et les chaines de munitions préalablement constituées au début de l’alerte. Au bout de vingt minutes de combat sans résultat, l’ennemi après s’être rapproché de nous d’environ mille mètres, présente son travers en venant sur bâbord et fait donner ses deux pièces simultanément. Il faisait à ce moment presque calme et, vu la faible vitesse de mon navire et la difficulté de changer rapidement ma route, l’adversaire réussit bientôt à nous encadrer et à rectifier son tir ; néanmoins nous répondions coup pour coup avec toute l’accélération qui nous est possible. Je noterai en passant le courage de mon équipage et le sang-froid des canonniers, en particulier du quartier-maitre Dinand, chef plein d’énergie de la pièce de bâbord qui parvint à encadrer l’ennemi, à le garder à distance et tira jusqu’au dernier et seul un moment, les obus restant sur le pont.
Au bout d’une heure et demie de lutte, après avoir tiré environ deux cents obus, un projectile atteignant la partie AR de la chambre de veille, vient tomber sur les armoires à munitions, en détermine l’explosion, tue et blesse tous les hommes assurant l’alimentation des deux pièces dont le feu diminue progressivement d’intensité, étant dans l’impossibilité de les pourvoir.
Plusieurs autres obus tombant sur le pont, dans la mature et le long du bord, blessent quelques hommes ; un autre frappant l’avant à bâbord, fait une brèche à la flottaison.
Ayant plus de la moitié de mon équipage hors de combat, étant moi-même sérieusement blessé à la cuisse gauche et couvert de brulures, le feu de mes pièces étant de plus éteint, décidé après avis des principaux survivants d’abandonner le navire dont l’arrière brulait et que l’eau commençait à envahir ; il était à ce moment 8 H.45 du matin. Mis le radeau à l’eau et la baleinière de bâbord, celle de tribord étant indisponible, trouée par des éclats, descendu les blessés les premiers et quitté mon navire avec 20 hommes sans avoir pu emporter les papiers de bord détruits dans la chambre de veille (celle-ci ne formait plus qu’un amas de décombres).
Le tir de l’ennemi conservant la même intensité, nous réussissons à franchir la zone de chute sans autre avaries et à nous éloigner du bord. Cependant le sous-marin espace de plus en plus ses coups tout en se maintenant à distance respectable. Mon navire troué fortement en différents endroits incline peu à peu l’avant, prend une forte bande sur tribord et s’enfonce doucement, à 10 heures environ, il disparait définitivement les mâts encore debouts. L’ennemi qui a tiré jusqu’au dernier moment et dont j’estime le nombre de coups à 300, cesse aussitôt le feu et bientôt je l’aperçois se dirigeant vers nous, il portait deux mâts assez élevés et de loin ressemblait parfaitement à un petit vapeur. Etant à 1/2 mille de nous il change brusquement de route, prend ses dispositions de plongée et disparait bientôt. Un vapeur dont on voyait la fumée était sans doute la cause de cette manœuvre, car quelques instants après, nous entendions les coups sourds du canon et apercevions dans la direction du vapeur de fortes colonnes de fumée blanche s’échappant à intervalles très rapprochés. Le signal de détresse de ce navire fut d’ailleurs reçu par le steamer qui quelques instants plus tard devait nous recueillir et dont nous apercevions nettement la fumée à ce moment dans l’Est.
A 1 heures 1/2 du soir,ce vapeur nous ayant aperçus stoppait et nous prenait à son bord. C’était le “Santa-Cécilia”, navire américain de la Cie Hafra-Line de New-York, capitaine Forward, faisant route à destination de Gènes. Nous reçûmes à son bord le plus chaleureux accueil et les blessés reçurent les premiers soins avec dévouement. N’ayant pas de docteur à bord, on ne put leur faire que des pansements sommaires. Après 5 jours d’hospitalisation le “Santa-Cecilia” nous déposait à bord du chalutier “Marrakchi” le 4 août 1917 à…heures. Tel est mon rapport que je déclare sincère et véritable.
Fait à bord du “SANTA CECILIA” le 4 août 1917.
Le Capitaine: Signé, Lévéque.” (7)
Per la cronaca, la nave avvistata dai naufraghi del Madeleine II e dall’U-155 era il vapore inglese Snowdonian, che fu affondato quello stesso giorno. I successi ottenuti da Meusel e dal suo U-155 furono ottenuti quasi sempre utilizzando l’artiglieria per affondare direttamente le navi nemiche oppure per costringerle a fermarsi e farle poi colare a picco con cariche esplosive messe a bordo. Solo una volta, il 7 agosto, furono usati i siluri per mandarne a fondo una, l’Iran, che fu anche l’ultima della prima missione operativa dell’U-155 (8).
Dopo quest’ultimo affondamento, l’U-155 risalì l’Atlantico per rientrare a Kiel, dove giunse il 7 settembre 1917, dopo aver percorso 10.200 miglia (di cui 620 in immersione) e trascorso 104 giorni in mare.
Fu subito messo in cantiere per le necessarie riparazioni, l’equipaggio ebbe un breve periodo di riposo e il Comandante Meusel riassegnato a un altro sommergibile, l’U-73, sostituito dal Capitano di corvetta Erich Eckelman, al suo primo incarico come comandante di un battello in missione operativa.
Seconda missione
Gli oltre tre mesi passati in mare avevano non solo usurato, com’è naturale, molte parti del sommergibile, ma avevano anche evidenziato come il notevole peso dei cannoni e le sollecitazioni del tiro sullo scafo avessero sia intaccato i collegamenti strutturali sia logorato le corone di brandeggio con conseguenze negative sulla precisione dei due pezzi di artiglieria. Degli inconvenienti e limitazioni degli impianti lanciasiluri abbiamo già accennato.
Come se non bastasse, una buona parte dei siluri, armi delicate, prive della manutenzione costante per non essere direttamente accessibili, aveva subito danni per le forti sollecitazioni in condizioni di mare agitato.
Sotto l’attenta supervisione del nuovo comandante Eckelman, il secondo ciclo di lavori cui fu sottoposto l’U-155 durò tre mesi circa e comportò, oltre l’ovvia revisione generale di tutti i suoi apparati, anche la sostituzione dei cannoni con altri dello stesso calibro più moderni e con maggiore gittata (15-cm Utof C16 L/45) e quella dei sei tubi lanciasiluri esterni con due interni, sistemati affiancati in posizione prodiera, consentendo così non solo di evitare le sollecitazioni e i problemi connessi alla libera circolazione dell’acqua di mare all’interno dello scafo leggero riscontrati durante la prima missione, ma anche di acquisire la possibilità di ricaricare, senza necessità dei fare rientro alla base, i TLS, rendendo così possibile una costante manutenzione delle armi, opportuna in funzione della preparazione al lancio.
Dopo le ultime prove a mare, effettuate durante il mese di dicembre 1917, il 14 gennaio 1918, l’U-155 lasciò nuovamente la Germania e, seguendo l’ormai consueta rotta, si diresse ancora una volta a sud delle Azzorre, per cercare di intercettare le navi dirette da e verso il Mar Mediterraneo attraverso lo Stretto di Gibilterra.
I tempi però erano mutati ed Eckelman ebbe difficoltà a trovare obiettivi adeguati, poiché gli Alleati, per ridurre le perdite alla loro flotta di navi mercantili, avevano iniziato a utilizzare convogli ben difesi.
Nonostante l’affondamento di alcune navi da carico a vapore, Eckelman dovette gioco forza accontentarsi dei velieri, prede ben più facili perché più lenti e perché spesso viaggiavano isolati.
Era passato giusto un mese da quando avevano lasciato il porto di Kiel, quando, il 16 febbraio l’U-155 affondò la sua prima preda, il piroscafo italiano Tea. Costruito nei Cantieri Navali Riuniti di Ancona nel 1914 per conto della Società Commerciale Italiana di Navigazione di Genova, varato il 3 maggio 1914, requisito il 29 giugno 1917 dal Ministero Industria e Commercio il Tea, in viaggio da Portland (Stati Uniti), da dove era partito il 16 febbraio 1918 per Gibilterra e con destinazione finale l’Italia con un carico di grano, fu sorpreso dal sommergibile tedesco a circa 80 miglia (133 miglia, secodo alre fonti) a sud ovest di Cabo Sao Vicente (Portogallo). Secondo alcune fonti il piroscafo venne catturato e affondato con esplosivo, secondo altre venne invece silurato e affondato, causando la perdita di quattro membri dell’equipaggio.
Nel mese di febbraio la stessa sorte toccò alla piccola goletta inglese Cecil L. Shave, diretta da Cadice al Newfoundland, affondata a colpi di cannone nella stessa zona del Tea il 18 febbraio, seguita il 23 dal piroscafo spagnolo Sardinero.
Il mese di marzo andarono a picco altre nove navi, 5 piroscafi e 3 velieri, di cui ben tre italiane (i piroscafi Antioco Accame (10), Prometeo e Avala), due norvegesi (i piroscafi Wegadesk e Reidar), due britanniche (Jorgina e Watauga, entrambe navi a vela) e il veliero portoghese Ave.
Scampò invece all’affondamento il brigantino goletta Joaquina (11), (anche se alcune fonti lo danno per affondato a seguito di siluramento). Ne accenniamo qui di seguito. Durante il viaggio di ritorno da Guantanamo (Cuba) diretta ad Alicante (Spagna) con un carico di legname di cedro e mogano, il piccolo veliero da 333 t di stazza, al comando del capitano Francisco Perelló, il 15 marzo stava navigando non lontano dalle Isole Canarie quando, alle 10 del mattino, fu intercettato da un sommergibile – in considerazione della data e del luogo non poteva che essere l’U-155 – che la costrinse a fermarsi.
Al capitano fu ordinato di salire a bordo del sommergibile, cosa che fece accompagnato con una lancia da alcuni uomini dell’equipaggio. Una volta salito a bordo, il comandante del battello, dopo aver chiesto la loro documentazione, avvisò il
capitano della Joaquina che aveva trenta minuti per tornare alla sua nave e abbandonarla con il resto dell’equipaggio, perché stava per essere silurata. Perellò obbedì e, tornato sul suo veliero, dopo aver calato a mare un’altra lancia e, imbarcato il resto dell’equipaggio, si allontanò.
A debita distanza, i naufraghi assistettero alle cannonate con le quali il Joaquina fu bersagliato – sembra addirittura undici! – e videro prima cadere alberature e manovre, e infine la goletta in affondamento. Le due lance furono ritrovate da due navi norvegesi ed una inglese, che, navigando con frequenti e improvvisi cambiamenti di rotta, erano giunte fin lì dopo tre giorni, evitando così di incontrare l’U-155, rimasto nei paraggi nella speranza proprio che arrivassero delle navi per soccorrere la Joaquina.
I naufraghi furono quindi sbarcati a Gibilterra. La piccola goletta non affondò, poiché il carico di legname trasportato la tenne a galla fino a quando, tempo dopo fu ritrovata e rimorchiata a Las Palmas con tutto il suo carico.
Dedichiamo adesso un piccolo spazio alle tre navi italiane affondate:
Prometeo (ex Harley)
La Prometeo era stata costruita nei cantieri Dixon come mercantile con il nome di Fritzoe; nel 1912 venne modificata inserendo dei serbatoi cilindrici nella stiva. Acquistata dalla Una Ltd di Londra e rinominata Horley venne da questa ceduta nel 1915 alle Ferrovie dello Stato che la ribattezzarono Prometeo (12). Con l’entrata in guerra dell’Italia, fu requisita dalla Regia Marina e usata come trasporto carbone e nafta.
Il 18 marzo stava trasportando nafta da Port Arthur (Texas) a Genova quando incappò a circa 300 miglia a ovest del Cabo Carvoeiro (Portogallo) nel battello di Eckelmann. Dopo che questi sparò un colpo di cannone d’avvertimento, segnalando subito dopo di fermare le macchine, il comandante della nave italiana, capitano Desiderio Tonietti, reagì alzando la bandiera di combattimento e sparando con i suoi tre cannoni da 76 mm.
La lotta fu ovviamente impari e quando la Prometeo venne colpita in pieno, uccidendo l’allievo ufficiale macchinista Giuseppe Amato, il Capitano di lungo corso Antonio Fabbri, i marinai Carlo Fabbri e Vitto Palmieri e ferendo anche alcuni uomini dell’equipaggio, tra i quali il Capo Fuochista Cesare Altafini (che morirà poco dopo sulla scialuppa di salvataggio) Tonietti ordinò l’abbandono nave.
Era rimasta integra un’unica scialuppa e su questa salirono tutti, ma prima di andarsene, Eckelmann diede loro un’altra scialuppa e dei generi di conforto. Dopo otto giorni di navigazione a remi le due lance riuscirono a raggiungere le isole portoghesi di Burling e Capo Sardao (13).
Il Cap. di l.c. Carlo Fabbri, originario di Fabriano, il Capo fuochista Cesare Altafini di Genova e il fuochista Vitto Palmieri di Palermo vennero insigniti, di Medaglia di Bronzo al Valore Militare (alla memoria) con la seguente motivazione: “In occasione dell’attacco da parte di sommergibile del piroscafo Prometeo su cui era imbarcato, colpito dal fuoco nemico cadeva da prode sulla nave strenuamente difesa, vittima cosciente del proprio dovere” (Atlantico, 18 marzo 1918)”. Il Cap. di l.c. Desiderio Tonietti, di Rio Marina (Livorno), venne insignito di Medaglia d’Argento al Valore Militare con la seguente motivazione: “Comandante del piroscafo Prometeo di fronte al nemico dava mirabile prova di risoluto e tenace coraggio, d’alto senso del dovere e d’abnegazione difendendo strenuamente la sua nave ed abbandonandola poi per ultimo, già presa alle fiamme, dopo aver provveduto alla salvezza dell’equipaggio superstite e delle carte e valori di bordo, sotto l’imperversare del fuoco avversario (Atlantico, 18 marzo 1918)”.
Antonio Accame
Il piroscafo Antonio Accame (14), proveniente da Rosario (Argentina) e diretto a Genova, fu affondato il 4 marzo 1918 al largo di Cape Spartel, a circa 115 miglia ad ovest-nord-ovest dello Stretto di Gibilterra.
Avala
La terza nave italiana era il piroscafo Avala. Proveniente da New Orleans per Gibilterra e poi in Italia al comando del capitano di lungo corso Maggiolo Bartolomeo, il 24 marzo dopo aver cercato di controbattere le cannonate dell’U-155 con i suoi pezzi di piccolo calibro, venne affondato a circa 320 miglia a nord ovest di Madeira.
Nell’episodio si distinse, come già aveva fatto in precedenza a bordo del mercantile Confidenza, anch’esso attaccato da sommergibili tedeschi, il marinaio cannoniere barese Gaetano La Gioia, che continuò a sparare fino all’affondamento della sua nave.
Si salvò, raccolto da una nave inglese insieme ai pochi altri superstiti che furono poi tutti sbarcati a Gibilterra. Il comandante Maggiolo, che perse la vita assieme a molti altri componenti dell’equipaggio, venne insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare (alla memoria) con la seguente motivazione: “Comandante del piroscafo Avala, mortalmente ferito da proiettile nemico, cadeva da prode sul ponte di comando della sua nave strenuamente difesa, dando fino all’ultimo mirabile prova di fermezza il coraggio, di alto sentimento del dovere e di cosciente abnegazione (Atlantico, 24 marzo 1918)” (15).
Il mese di aprile 1918 non fu particolarmente generoso per Eckelman, poiché riuscì ad affondare soltanto cinque navi, tre piroscafi, (il 7 aprile l’italiano Sterope e, rispettivamente, il 13 e 17 gli inglesi Harewood e Nirpura) e due navi a vela (il 1° aprile la portoghese Lusitano e il 23 aprile il piccolo ketch inglese Frances).
Una breve considerazione sull’affondamento del piccolo ketch Frances: risulta alquanto difficile capire il motivo per cui Eckelman prese a cannonate il piccolo ketch (di sole 56 tonnellate) uccidendo anche due uomini d’equipaggio, in un tratto di mare per lui pericolosissimo, visto che si trovava a sole 8 miglia a nord ovest dell’arcipelago bretone di Sept Îles, già dentro l’imboccatura occidentale del Canale della Manica, zona ben pattugliata dalle navi francesi e inglesi, ma egualmente sulla rotta di rientro a Kiel dell’U-155.
Ad aprile toccò a un’altra nave italiana, La Sterope (16) una nave cisterna e carboniera della Regia Marina varata nel 1905. Dopo aver partecipato alla guerra italo-turca del 1911-12, venne utilizzata anche durante la Grande Guerra. Mentre rientrava in Italia da Pensacola con un carico di nafta, il 7 aprile fu intercettata dall’U-155 al largo delle Azzorre.
Il comandante della nave, capitano di fregata Agostino Scarpato, non obbedì all’ordine di fermarsi e ingaggiò con i suoi 4 cannoni da 76/40 mm il sommergibile tedesco. L’impari combattimento si concluse con l’affondamento della nave e la perdita di 74 uomini dell’equipaggio.
Qui il racconto di quegli eventi, tratto da “Bandiere sul Mare” (17):
La Sterope era una regia nave carboniera d’oltre novecento tonnellate, gemella della Bronte, ch’ebbe questo ciclopico nome nel ‘905 al varo, e che perì tragicamente in Atlantico, fra le Azzorre e la costa europea, il 7 aprile ‘918, di ritorno da Pensacola, dov’era andata a caricare nafta per l’Armata.
Alle ore 7,15 – narra nel suo rapporto il superstite ufficiale di rotta – dopo aver preso il punto della nave, stimato non avendo potuto osservare il sole, latitudine 39° 31′ N., longitudine 18° 40′ W., stavo per scendere dalla plancia, quando sulla sinistra ho visto un lampo, e poi subito dopo si è inteso un colpo di cannone.
– Un sommergibile!
– Il comandante, capitano di fregata Agostino Scaparro, al rombo uscì fuori dal casotto, dov’era, e domandò notizie.E diede, naturalmente, l’ordine immediato di sparare.Ma non ci fu bisogno di chiamare la gente a posto di combattimento, poichè già vi si era spontaneamente precipitata. Il duello s’iniziò; a condizioni impari. Il primo colpo del sommergibile che giunse a bordo smantellò il pezzo poppiero di dritta, e uccise l’armamento. Il terzo colpo piombò sulla plancia e uccise il timoniere.
Il comandante ordinò all’ufficiale di prendere la barra, e, accertata la posizione del sommergibile, venne un poco a dritta per mettersi in filo e diminuire così il bersaglio. Ma ecco che qualcuno sale su a riferire come anche l’altro pezzo di poppa a sinistra è stato messo fuori combattimento…
Allora il comandante passò il timone ad un sottufficiale e mandò l’ufficiale a prender conto di quel che succedeva sul ponte di coperta ed a verificare come procedeva il rifornimento dei due superstiti pezzi prodieri.
Il rifornimento procedeva bene per lo zelo degli uomini che, sotto il grandinare delle granate, facevano a gara a portar proiettili dalle riservette. Uno dell’armamento di sinistra, il marinaio De Bari, ferito alla testa corse a medicarsi e ritornò al suo pezzo.
Tornato in plancia, l’ufficiale ebbe l’ordine di far lanciare l’ S.O.S.; ma presso la stazione radio venne colpito al collo e ad un’orecchia; cadde; si rialzò, e fu di nuovo colpito alle gambe. Perdeva sangue da tutte le ferite. Il comandante, che lo vide, gli disse: ” Figlio mio, vada a medicarsi “. Carponi, come meglio potè, si trascinò fino alla sua cabina.
Il duello continuava implacabile. Il sommergibile, ch’era il famoso “Deutschland”, quello col quale la Germania aveva tentato il tipo di sommergibile commerciale per rifornimenti transatlantici, ma che fallito il tentativo, era stato poi trasformato in sommergibile da guerra cambiando il nome in U-155, era armato, oltre che con tubi di lancio, con pezzi da 150.
La Sterope non aveva che quattro pezzi da 76; di questi i due poppieri erano stati subito smantellati, e i colpi degli altri, anche messi alla massima elevazione, erano corti. Sulla nave piovevano le granate. L’albero di maestra, colpito, si reggeva a stento, trattenuto dalle sartie per miracolo; colpito il fumaiolo; il quadrato sottufficiali a poppa devastato…
Il comandante, considerando perduta la partita, si sporse per buttare in mare il cifrario e documenti riservatissimi, ma una scheggia lo prese in pieno, e gli troncò la testa a taglio netto. Il secondo, tenente di vascello Schiappacasse, mentre ordinava che fossero ammainate le imbarcazioni, fu abbattuto anch’esso da una scheggia. Ora la nave non governava più per una grave avaria al timone; girata su se stessa, s’era posta a bersaglio più facile pel nemico.
Unico ufficiale di coperta superstite, l’ufficiale di rotta: guardiamarina Giuseppe Palmegiano, di complemento; un ragazzo ventenne. Egli era in camerino a fasciarsi da sè alla meglio le ferite, quando gli vennero a dire che il comandante era stato ucciso, che la Santa Barbara era allagata, che il timone non funzionava più. S’avviò verso la plancia barcollando.
Mentre stava per uscire dal corridoio di dritta, udì uno schianto verso prora, e sentì la nave sbandare sulla sinistra tanto che gli cadde contro la paratia…
Quando giunse sul cassero vide il tenente stramazzare ucciso, reggendosi la testa con le mani. E guardò i pochi superstiti che continuavano ad ammainare le imbarcazioni. Ultimo tentò anch’egli di filarsi in mare dal paranco della lancia ma cadde in acqua. Un marinaio lo afferrò e lo mise in un battello.S’erano appena scostate le imbarcazioni dalla nave prossima ad affondare, quando il sommergibile le raggiunse. Il comandante, capitano di fregata Eckelmann, visto il giovanissimo ufficiale ferito, lo prese a bordo e lo mandò in infermeria dove il medico gli estrasse una scheggia dal collo, gli cucì l’orecchia ch’era spaccata, gli fasciò le ferite alle gambe. Poi il comandante gli domandò se volesse rimanere a bordo.Non volle.
L’altro gli diede la rotta; ed insistette nell’invito a restare, visto che egli era malamente ferito e che stavano lontani dalla costa un trecento miglia.Ancora rifiutò.
– Bien, bonne chance – disse l’altro. E col megafono richiamò il battello sotto il bordo per lasciarlo andare.
L’affondamento della Sterope, che seguiva quello di tre settimane prima della Prometeo, sempre ad opera dell’U-155, e del siluramento della nave trasporto nafta Giove il 13 aprile al largo di Capo Colonna ad opera del sommergibile UC-20, mise in difficoltà la Regia Marina per l’approvvigionamento di carburante, rendendo necessaria la richiesta di cessione di nafta agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna (18).
Il 4 maggio 1918, con il rientro a Kiel, terminava la seconda missione operativa dell’U-155 (19). Nei tre mesi successivi il battello tornò in cantiere per le necessarie operazioni di revisione e, forse, per le opportune modifiche per la posa di mine.
Terza missione
La terza missione operativa dell’U-155 vide avvicendarsi al comando il Capitano di corvetta Ferdinand Studt, che, come Eckelman, non aveva avuto in precedenza esperienze sui sommergibili.
Nominato comandante dell’U-155 il 1° giugno 1918, lo fu fino al 14 novembre di quell’anno, quando, in ottemperanza degli ordini ricevuti dal comando della flotta imperiale tedesca, consegnò il suo battello alla Royal Navy.
Il battello, con la livrea mimetica adottata in quell’ultima fase del conflitto da molte unità navali tedesche (e non solo), lasciò Kiel l’11 agosto dirigendosi questa volta verso le coste del Nord America nella speranza di poter fare in quelle zone dell’Atlantico buona caccia delle navi nemiche.
Non fu così. Nei due mesi e mezzo in cui incrociò in quelle acque, infatti, riuscì ad affondare otto navi, 4 piroscafi (lo Stortind norvegese, il portoghese Leixoes, l’italiano Alberto Treves e la statunitense Lucia, il 17 ottobre) e 3 velieri (i portoghesi Gamo, e Sophia e il britannico Industrial), fallendo però con la nave cisterna USS Frank H. Buck (21).
L’ottava nave fu anche l’unica unità da guerra affondata in tutte e tre le missioni dall’U-155: era il trawler statunitense Kingfisher (22), mandato a fondo il 20 settembre. Come molte delle unità simili utilizzate da quasi tutte le Marine durante la Grande Guerra, il Kingfisher era in origine un peschereccio d’altura, che, per le sue caratteristiche di buona tenuta a mare, fu destinato a fungere da cacciasommergibili ed armato, allo scopo, con due pezzi da 3 pollici (76/23mm).
Al comando del capitano Riley, dopo aver salvato l’equipaggio della goletta americana Dorothy B. Barrett, affondata il 14 settembre dall’U-117 a circa 6 miglia dalla Five Fathom Bank Lightship, il Kingfisher avvistò la torretta dell’U-155 e, secondo il resoconto fornito da William Merritt, comandante della goletta affondata la settimana prima e ancora a bordo del Kingfisher, quando Riley lo identificò come un sommergibile nemico ordinò ai suoi uomini di fare fuoco, manovrando subito dopo per dirigersi verso ovest, cercando così di attirare il battello tedesco verso una zona di bassi fondali, profonda circa cinque braccia (poco più di 9 metri).
L’U-155 non abboccò e fece fuoco a sua volta, costringendo il trawler a fermarsi e a far scendere l’equipaggio sulle scialuppe di salvataggio. Dopo di che, Studt inviò dei suoi uomini a bordo dell’ex peschereccio per posizionare una carica di demolizione sotto la poppa. Il Kingfisher affondò così il 20 settembre 1918, a circa 85 miglia a est di Halifax (Canada) e fu anche l’ultima imbarcazione da pesca armata a essere affondata nell’Atlantico occidentale durante la prima guerra mondiale, terminata sette settimane dopo.
Attacchi e affondamenti a parte, resta la questione della posa di mine da parte dell’U-155. Alcune fonti ritengono che ciò può essere dedotto dal fatto che nei sette giorni passati tra l’attacco al mercantile britannico Newby Hall, avvenuto il 13 settembre, e l’affondamento del Kingfisher, il battello tedesco si avvicinò molto alla costa nei pressi di Halifax, dove poi furono rinvenute delle mine (23).
Non siamo però riusciti a trovare alcuna conferma documentale che il battello tedesco sia stato effettivamente modificato per tale compito e dubitiamo che, dopo le pessime esperienze legate all’installazione dei tubi lanciasiluri fuori dello scafo resistente, esso sia stato sottoposto ad altri importanti lavori strutturali che gli consentissero di operare come posamine.
Anche in questa terza missione dell’U-155 vi fu l’affondamento di una nave italiana. Si trattò del piroscafo Alberto Treves della Società Veneziana di Navigazione a Vapore.
Alberto Treves
Costruito nel 1900 dai cantieri Nicolò Odero & Co. di Genova per conto della nuova compagnia di navigazione Società Veneziana di Navigazione a Vapore, nata per contrastare l’egemonia nell’Adriatico del Lloyd Triestino (che, non dimentichiamolo, a quel tempo era austriaco), nel gennaio del 1915, assieme ad altre navi della stessa compagnia fu posto in disarmo. Requisito dopo l’entrata in guerra dell’Italia fu adibito al trasporto di materiali di interesse militare per e da gli Stati Uniti.
Il Treves, prima del suo ultimo viaggio, si era dimostrato combattivo e fortunato. Combattivo e fortunato quando, il 15 dicembre 1916, non lontano dalle coste del Marocco, era stato attaccato da un sommergibile nemico, rimasto sconosciuto. Manovrando in modo da tenerlo sotto il tiro del suo unico cannone da 76 mm con cui sparò 35 colpi, riuscì a metterlo in fuga. Il suo comandante Girardi ebbe per questa azione una decorazione (24).
Soltanto fortunato quando, il 5 maggio 1918, era stato silurato dal sommergibile tedesco U-38 comandato dal Tenente di vascello (Kapitänleutnant) Clemens Wickel mentre era in rotta da Palermo a Gibilterra con un carico di merci varie.
Al momento del siluramento si trovava nel Mediterraneo Occidentale, a circa 70 miglia ad est del porto spagnolo di Carthagena, dove comunque riuscì ad arrivare, incagliandosi. Venne però recuperato, riparato e rimesso in servizio.
Per nulla fortunato cinque mesi dopo, quando, il 3 ottobre, l’Alberto Treves, in rotta da Carthagena per New York fu silurato dall’U-155 a circa 300 miglia dalla costa americana. L’equipaggio riuscì a salire su tre scialuppe di salvataggio, ma di due di esse, con 21 uomini a bordo non si trovò più traccia (25).
I 13 uomini che erano sulla terza lancia furono salvati qualche giorno dopo dal trasporto truppe americano USS Orizaba. L’affondamento della nave italiana fu riportato sulle prime pagine di alcuni quotidiani americani, tra cui l’Indianapolis News e L’Official Bulletin dell’8 Ottobre 1918.
Dopo aver fallito l’attacco prima alla nave cisterna USS Frank H. Buck e poi al trasporto truppe americano SS Amphion il 12 ottobre 1918 e dopo aver affondato il piroscafo americano Lucia, avvenuto il 18 ottobre, ultima sua vittima della missione, tre giorni dopo l’U-155 fu richiamato in Germania con tutti gli altri sommergibili tedeschi: il 20 ottobre, infatti, accogliendo una condizione posta dal presidente americano Woodrow Wilson, la Germania, in considerazione che le sorti della guerra si erano per lei volte al peggio dopo le battaglie di Amiens e Somme e lo sfondamento della linea Hindenburg, decise di sospendere la guerra sottomarina contro il traffico navale degli Alleati.
Il battello tedesco arrivò a Kiel il 14 novembre, terminando così la sua terza e ultima missione operativa (26).
L’ingloriosa fine
Tre giorni prima, l’11 novembre, era stato nel frattempo firmato l’armistizio, le cui clausole imponevano alla Germania la consegna agli alleati, entro 14 giorni, di tutta la sua flotta (27). Particolari disposizioni furono impartite il 18 novembre per i sommergibili: essi avrebbero dovuto radunarsi al largo della costa di Harwich alla latitudine e longitudine di 52º05’N e 2º05W ed essere accompagnate da navi da trasporto, per consentire il successivo trasferimento degli equipaggi in Germania dopo la consegna alla Marina inglese di tutti i loro battelli.
I sommergibili sarebbero quindi stati condotti ad Harwich, scortati da una forza di cacciatorpediniere e incrociatori britannici. Una volta ancorati, i loro equipaggi avrebbero dovuto posizionarsi in coperta a prua e attendere l’imbarco di un ufficiale britannico che avrebbe preso il comando della nave.
Al suo arrivo, l’ufficiale tedesco al comando del sommergibile avrebbe dovuto consegnare l’elenco completo dell’equipaggio, oltre a una dichiarazione firmata in cui si dichiarava che il sottomarino era nelle seguenti condizioni: “(1) Batteries fully charged up; (2) Full complement of torpedoes on board, launched back clear of torpedo tubes and without war heads; (3) That no explosives of any sort are on board; (4) That the submarine is in running condition, fully blown; (5) That all of the periscopes are in place, and in working and efficient condition; (6) That all sea valves are closed and in efficient condition; (7) That no infernal machines or booby traps of any sort are on board” (28)
Anche l’U-155 dovette soggiacere a queste condizioni e così, assieme a tanti altri sommergibili della Marina imperiale tedesca, fu accolto a 35 miglia dalla costa dell’Essex, da una piccola flotta di navi da guerra britanniche al comando del contrammiraglio Sir Reginald Tyrwhitt
Ma le vere umiliazioni avvennero nelle settimane e nei mesi successivi, quando il grande sommergibile incrociatore fu esposto alla popolazione londinese. Prima fu rimorchiato, assieme ad altri 4 sommergibili tedeschi, sul Tamigi (dove vi fu una lieve collisione con la Burns, una bettolina per la raccolta liquami del Comune di Londra nella quale entrambe le navi subirono lievi danni), arrivando quasi fin sotto la Torre di Londra e poi fu ormeggiato al vicino molo di St. Katherine (29), a fianco della nave civetta antisommergibile inglese (Q-ship) HMS Suffolk Coast.
Per poter vedere da vicino l’U-155, ex Deutschland, come se fosse un’attrazione circense, il prezzo del biglietto fu di uno scellino… La stampa ne diede notizia a titoli cubitali e con tono trionfalistico come questo del settimanale The Sphere: ”The German submarine, U-155 (Deutschland) one of four lying in the River Thames flying the White Ensign at the end of the First World War.”
Come se non bastasse, nel marzo 1919, il grande sommergibile dopo essere stato rimorchiato nuovamente ad Harwich e privato del suo armamento, fu venduto ad una società privata per essere nuovamente esposto al pubblico.
La società era stata creata da Horatio Bottomley, finanziere, ex membro del Parlamento e proprietario della rivista “John Bull”, e Noel Pemberton Billing, aviatore e parlamentare che si ripromettevano, esibendolo a pagamento, di finanziare, mediante l’acquisto di obbligazioni (“Victory Bonds”) destinate al King George’s Fund for Sailors, un fondo a sostegno della gente di mare.
Molti inglesi si prestarono, visto il dichiarato nobile motivo, all’operazione visitando il battello, al quale, forse anche per motivi simbolici, era stato ridipinto sulla fiancata il precedente nome Deutschland. Secondo alcune fonti furono oltre
150.000 fino al settembre 1920 ad accorrere a Great Yarmouth, Southend, Londra, Ramsgate, Brighton e Douglas, nell’isola di Man.
L’operazione commerciale sembra non ebbe successo, ma non è chiaro se si trattò di un cattivo affare o, più probabilmente, di una truffa: sta di fatto che Bottomley, fu arrestato per frode e bancarotta, processato e condannato nel 1922 a sette anni di reclusione…
L’ultimo capitolo della vita dell’U-155, ex Deutschland fu segnato da un tragico incidente. Nel giugno 1921 fu portato nei cantieri Robert Smith and Sons di Birkenhead, vicino a Liverpool, per essere demolito.
Tre mesi dopo l’uso della fiamma ossidrica vicino al serbatoio di idrogeno causò una violenta esplosione in sala macchine e cinque operai persero la vita. Le parti del sommergibile furono infine vendute come rottame.
Diventato già famoso quando fu impiegato come sommergibile commerciale con il nome Deutschland lo divenne ancor di più come battello da guerra, ribattezzato U-155. Fu senz’altro un simbolo della
determinazione tedesca, del pensiero innovativo della sua Marina Imperiale e un esempio delle grandi capacità costruttive della sua industria.
A tal proposito, se tali capacità erano state già dimostrate con il Deutschland, in grado di avere grande autonomia e capacità di lunghe permanenze in mare, esse furono ulteriormente confermate con la trasformazione da sommergibile per usi commerciali a sommergibile da guerra: basti pensare che, con interventi strutturali ridotti al minimo indispensabile, con l’utilizzo di armamento di recupero e con l’ottimale sfruttamento degli spazi a disposizione (in particolare, per ospitare i numerosi serventi di artiglieria e maneggiare il numeroso – quasi 1700 proiettili!- relativo munizionamento), si ottenne un battello in grado di terrorizzare il traffico isolato delle piccole unità, impegnandole soltanto con i suoi due cannoni, modo non solo economico ma anche facilmente reiterabile fino ad ottenere il risultato. In estrema sintesi, un grande risultato tecnico e operativo, a costi ridotti.
Al tempo stesso, però, dimostrò come la formula del sommergibile incrociatore non fosse idonea per operare in un moderno conflitto, in cui la velocità e la capacità di attaccare in immersione con siluri il naviglio di superficie nemico si erano rivelate come il fattore determinante per realizzare i migliori successi.
Scheda Tecnica dell’U-155
Impostato il: 27 ottobre 1915
Varato il: 29 marzo 1916
Cantiere di costruzione: Flensburger Schiffbau di Brema
Dislocamento a p.c.: 1.512 t; 1.820 t (in immersione)
Lunghezza: 65 m
Larghezza: 8,90 m
Immersione: 5,30 m
Apparato motore: – –
Eliche: 2
Apparato Elettrico: – –
Potenza: 590 kW; 790 Hp
Velocità: 12,4 nodi in superficie, 5,2 nodi in immersione
Autonomia: 12.000 nm a 5,5 nodi in superficie (dichiarata: 25.000 nm),
Armamento: 2 x 150 mm (prima SKL/40, poi C16 L/45 ) 2 lanciasiluri da 450 o 500mm
Ingannatori e contromisure: – –
Equipaggio: 56 (6 ufficiali e 50 sottufficiali e marinai)
Note
- Alessandro Turrini, “Breve storia del ‘sommergibile cannoniere’ e in particolare di quello italiano”, supplemento alla Rivista Marittima, dicembre 2011. Oltre ai sommergibili incrociatori e incrociatori sommergibili, la dottrina ha ritenuto di identificare anche altri tipi di battelli dotati di potenti artiglierie, come il sommergibile cannoniere, la corazzata sommergibile (come i 4 sommergibili britannici della prima guerra mondiale M1-M4, armati con un cannone da 305mm)
- Battelli di questo tipo furono soltanto il britannico X-1 (armato di due torri binate da 133mm) in servizio fra le due guerre mondiali e il francese Surcouf (con una torretta binata da 203mm), che ebbe una breve vita operativa durante la seconda gerra mondiale
- Sommergibili incrociatori furono: i tedeschi U-139/141, U-142 , U-151/158 (tutti della prima guerra mondiale e tutti armati con due cannoni da 150mm); i giapponesi della seconda guerra mondiale I-1/4, I-1M (2 cannoni da 140mm), I-8 (2 cannoni da 140mm in impianto binato non protetto), I-7, I-9/11. I-13/14, I-400/402 (un cannone da 140mm), I-6 (un cannone a 127mm); gli statunitensi Argonaut, Narwhal e Nautilus (tutti in servizio durante la seconda guerra mondiale e tutti armati con 2 cannoni da 150mm)
- Secondo Dwight R. Messimer, nello scafo esterno erano stati creati dei portelli che avrebbero dovuto essere ovviamente aperti prima del lancio dei siluri. Soltanto dopo il secondo ciclo di lavori, iniziato nel settembre 1917, i lanciasiluri di coperta furono disinstallati e sostituiti con due tubi lanciasiluri collocati a prua. Cfr. “The Baltimore Sabotage Cell: German Agents, American Traitors, and the U-boat Deutschland During World War I”, Naval Institute Press, 2015, pagg 176-177
- La sua fortuna finì poco più di quattro mesi dopo, quando, il 27 ottobre, fu affondato nel Golfo di Biscaglia dai siluri dell’U-93.
- Impostato a Glasgow per gli armatori Alexander Stephen & Sons di Dundee (Scozia), fu acquistato nei primi anni del ‘900 dalla Società di Navigazione Olivari di Genova e, a quanto risulta, ceduto nel 1917 all’armatore Davide Gaetano di Genova. Le sue caratteristiche note sono: 1.353tsl; 1.296tsn; lunghezza 75,74 m; larghezza 10.74 m; Immersione 6,55 m.
- Cfr: https://forum.pages14-18.com/viewtopic.php?t=43890
- Le date degli affondamenti della prima missione operativa dell’U-155 al comando di Karl Meusel risultano essere le seguenti: 2 giugno1917: Hafursfjord; 10 giugno: Scottish Hero; 14 giugno: Aysgarth; 30 giugno: Benguela e Siraa; 8 luglio: Ruelle; 12 luglio: Calliope; 14 luglio: Chalkydon; 18 luglio: Ellen; 20 luglio: Hanseat; 21 luglio: Doris, John Twohy e Willena Gertrude; 31 luglio: Madeleine e Snowdonian; 1 agosto: Alexandre; 2 agosto: Marthe; 7 agosto: Christiane e Iran
- Alcune fonti indicano il diametro dei lanciasiluri (intendendo quello dei siluri) in 20 pollici (500mm), ma, se furono riutilizzati due dei sei tubi precedenti, il diametro sarebbe stato di 17,7 pollici (450mm).
- Impostato nei cantieri London & Glasgow Eng. & Iron Sbldg. Co. Ltd. di Govan (Scozia) per la Clyde Shipping Company Ltd di Glasgow, varato il 22 febbraio 1895, completato il 19 aprile 1895 con il nome Goodwin. Dislocava 4421 t. ed aveva queste dimensioni: lunghezza: 119,8 m; larghezza: 10,27 m; immersione: 4,93 m. L’apparato motore aveva una potenza di 1800 hp. Il 19 marzo 1912 fu ceduto 19/03/1912 agli armatori Salvatore e Emanuele Fratelli Accame di Antioco di Genova che lo ribattezzarono Antioco Accame.
- Il Joaquina era stato costruito con il nome di Nueva Paula nel 1877 nei cantieri spagnoli di Vieta, Blanes per l’armatore D. Juan Jover y Serra. Fu poi acquistato nel 1902 da Vicente Chapaprieta y Fortepiani (Vicente Chapapria) di Torrevieja che lo ribattezzò Joaquina. Abbiamo ritenuto non attendibili le fonti che davano per affondata la goletta, sia per i resoconti ufficiali del suo successivo ritrovamento, sia perché le stesse fonti asserivano che sarebbe stata affondata da un siluro: sarebbe stata altamente improbabile la scelta di Eckelmann di affondare il brigantino con uno dei suoi preziosi -e costosi!.- siluri per una preda così piccola.
- Impostato nei cantieri London & Glasgow Eng. & Iron Sbldg. Co. Ltd. di Govan (Scozia) per la Clyde Shipping Company Ltd di Glasgow, varato il 22 febbraio 1895, completato il 19 aprile 1895 con il nome Goodwin. Dislocava 4421 t. ed aveva queste dimensioni: lunghezza: 119,8 m; larghezza: 10,27 m; immersione: 4,93 m. L’apparato motore aveva una potenza di 1800 hp. Il 19 marzo 1912 fu ceduto 19/03/1912 agli armatori Salvatore e Emanuele Fratelli Accame di Antioco di Genova che lo ribattezzarono Antioco Accame.
- Impostata nei cantieri Sir Raylton Dixon & Co. di Middlesbrough nel 1905, varata nel 1906. Caratteristiche: 4.017tsl; 2.541tsn; 6.285tpl.; 9.800td.; lunghezza 113,20 m (per altra fonte 109,80 m); larghezza 15,30 m (per altre fonti 15,60 o 15,80 m); immersione 7,98 m. Apparato motore: 1 motrice a triplice espansione da 1.400 hp (secondo altra fonte 2400 hp), N.E.Marine-Sunderland; 1 elica; velocità 11 nodi; equipaggio: 68 uomini. Durante il servizio con la Regia Marina era armata con 3 cannoni da 76/40 mm ed aveva un equipaggio di 123 uomini tra Ufficiali, Sottufficiali e Comuni (fonti: La Gazzetta della Spezia n.9 sett. 2014, https://www.gazzettadellaspezia.it/Magazine/Pdf/0254.pdf. e Marina Militare :https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/mezzi/mezzi-storici/Pagine/naviglio_ausiliario/prometeo.aspx).
- Fratelli S. & E, Accame; 1895; London & Glasgow Co.; 4,439 tons; 391 -8×46-6×27-9; 350 n.h.p.; triple-expansion engines
- Impostato per la società J.M. Wood – Liverpool il 20 febbraio 1890 nei cantieri navali Ropner & Sons di Stockton-on-Tees e varato nell’aprile 1890, fu acquistato nel 1913 dall’armatore Gaetano Maggiolo fu Antonio & C.–Camogli (altre fonti indicano la Compagnia Armatori Genova). Il 9 maggio 1915 fu requisito e militarizzato dalla Regia Marina per trasporto cereali, ma demilitarizzato nel gennaio 1916. Caratteristiche: 3.835tsl; 2.416tsn; 5.835tpl.; Lunghezza 113,10 m; larghezza 12,90; 8,30 immersione. Apparato motore: 1 motrice a triplice espansione a 1850 HP; 2 caldaie a carbone Blair-Stockton; 1elica; velocità 8,5 nodi.
- Impostata nei cantieri Orlando di Livorno il 1 ottobre 1903 e varata il 15 gennaio 1905, entrò in servizio il 18 novembre 1906. Unità della classe Bronte progettata dal Maggiore Genio navale Giuseppe Rota. Aveva una capacità di trasporto di 4000 tonnellate di nafta o benzina e 2000 tonnellate di carbone, oppure 6000 tonnellate di solo carbone. Dislocava e aveva le segeuenti dimensioni: lunghezza: 119,2 m; larghezza: 14,35 m; immersione: 7,58 m. Il suo apparato motore, costituito da 2 motrici a triplice espansione con caldaie verticali erogava 4000hp e con le sue due eliche le consentiva una velocità massima di 14,5 nodi. Era armata con 4 cannoni da 76/40 mm
- Michele Vocino, “Bandiere sul mare – Episodi della Grande Guerra”, Edizioni degli Omenoni, pag.53 e segg.
- Cfr. cablogramma del 27 aprile 1918 di Edward N. Hurley, Presidente dell’U.S. Shipping Board al Capitano dell’US. Navy Paul Foley responsabile della logistica degli approvvigionamenti di carburante.
(in: https://www.history.navy.mil/research/publications/documentary-histories/wwi/april-1918/edward-n-hurley-chai-7/_jcr_content.html) - Le date degli affondamenti della seconda missione operativa dell’U-155 al comando di Erich Eckelman risultano essere le seguenti: 16 febbraio 1918: piroscafo Tea; 18 febbraio: goletta Cecil L. Shave; 23 febbraio: piroscafo Sardinero; 4 marzo: piroscafo Antioco Accame; 10 marzo: piroscafo Wegadesk; 18 marzo: nave cisterna Prometeo e piroscafo Reidar; 24 marzo: piroscafo Avala e goletta Jorgina; 25 marzo: goletta Rio Ave; 27 marzo: goletta Watauga; 1 aprile: brigantino Lusitano: 7 aprile: nave cisterna e carboniera Sterope; 13 aprile: piroscafo Harewood; 16 aprile: piroscafo Nirpura: 23 aprile: ketch Frances.
- Non vi sono però conferme documentali di tali modifiche
- Cfr: Tin-Pots and Pirate Ships: Canadian Naval Forces and German Sea Raiders 1880-1918, pag. 284.
- Nonostante tutte le ricerche, non siamo riusciti ad avere conferma che si chiamasse proprio Kingfisher. Durante la Prima Guerra Mondiale l’US. Navy ebbe in servizio due unità con lo stesso nome, ma entrambe sopravvissero alla guerra: la motolancia USS Kingfisher (SP-76), acquistata da privati l’8 Maggio 1917 e loro restituita il 7 gennaio 1919 e il dragamine costiero USS Kingfisher (AM-25/AT-135/ATO-135), in servizio dal 27 maggio 1918 fino al 6 febbraio 1946.
- Cfr.: German submarine activities on the Atlantic coast of the United States and Canada, Navy Department Office of Naval Records and Library, Government Printing Office, 1920, pag. 125
- Cfr.: Camillo Manfroni, “La Guerra d’Italia per terra e per mare 1915-1918”, Alfieri & Lacroix, 1919, pag. 145.
- Di questi citiamo i seguenti nomi: Luciano Briffa, di Siracusa; Pietro Brischitti di Augusta; Stellario Laganà di Messina; Camillo Marcone di Oneglia; Melchiorre Padoan di Venezia; Giovanni Pivetta di Venezia; Vincenzo Rotondo di Vietri sul Mare; Luigi Sabatelli di Siracusa; Carmelo Scibilia, di Gallipoli. (Da: http://www.pietrigrandeguerra.it/wp-content/uploads/2020/05/Elenco-caduti-ALBERTO-TREVES.pdf ).
- Le date degli affondamenti della terza missione operativa dell’U-155 al comando di Ferdinand Studt risultano essere le seguenti: 31 agosto 1918: veliero Gamo; 2 settembre: piroscafo: Stortind; 7 settembre: brigantino Sophia; 12 settembre: piroscafo Leixoes; 20 settembre: trawler Kingfisher; 3 ottobre: piroscafo Alberto Treves; 4 ottobre: brigantino Industrial; 17 ottobre: piroscafo Lucia.
- Il testo è consultabile su https://www.loc.gov/law/help/us-treaties/bevans/m-ust000002-0009.pdf
- “(1) Batterie completamente cariche; (2) Serie completa di siluri a bordo, girati in direzione opposta ai tubi lanciasiluri e senza testate di guerra; (3) Che non vi fissero esplosivi di alcun tipo a bordo; (4) Che il sommergibile sia in condizioni di navigazione; (5) Che tutti i periscopi siano a posto, funzionanti ed efficienti; (6) Che tutte le valvole a mare siano chiuse e in condizioni efficienti; (7) Che non ci siano trappole esplosive di alcun tipo a bordo.”. Il testo originale “Instructions for the surrender of submarines at Harwich, 1918” è consultabile su https://blog.nationalarchives.gov.uk/1918-submarine-surrender/
- Nello stesso periodo, molti dei circa 120 sommergibili che si erano consegnati agli inglesi da Harwich furono portati in molti porti e località balneari della Gran Bretagna, come ad esempio Portsmouth, Devonport, Great Yarmouth, Cardiff, Bristol e Londra, per essere esibiti alla popolazione.
Bibliografia
AA.VV., “German Submarine Activities on The Atlantic Coast of the United States and Canada”, Government Printing Office, 1920
Josephus Daniels, “Our Navy at War”, Pictorial Bureau, 1922
Michael L. Hadley, Roger Flynn Sarty, “Tin-Pots and Pirate Ships: Canadian Naval Forces and German Sea Raiders 1880-1918”, McGill-Queen’s University Press, 1991
Paul N. Hodos, “The Kaiser’s Lost Kreuzer: A History of U-156 and Germany’s Long-Range”, McFarland, 2017
Camillo Manfroni, “La Guerra d’Italia per terra e per mare 1915-1918”, Alfieri & Lacroix, 1919
Dwight R. Messimer, “The Baltimore Sabotage Cell: German Agents, American Traitors, and the U-boat Deutschland During World War I”, Naval Institute Press, 2015
Michele Vocino, “Bandiere sul mare – Episodi della Grande Guerra”, Edizioni degli Omenoni, 1931
Ringraziamenti
Non avrei potuto completare queste note se non avessi avuto il prezioso aiuto del capitano di fregata (G.N.) Gian Carlo Poddighe e dell’avvocato Nicola Ragnoli e, per l’inflessibile attenzione con cui ne ha verificato la corretta stesura, dell’avvocato Paola Surano.
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