Il seguente saggio, riprende e sintetizza un intervento che l’Avv. Marco Faraoni tenne nel 2013 a Toscolano Maderno nel corso del convegno dedicato alla Prima Guerra Mondiale sul Benaco organizzato dalle Associazioni “Il Sommolago” e ASAR (Associazione Storico-Archeologica della Riviera del Garda).
Questo interessante studio è stato pubblicato per la prima volta nel volume che raccoglie gli atti del convegno curato da Domenico Fava, Mauro Grazioli e Gianfranco Ligasacchi, La Grande Guerra nell’Alto Garda, Salò-Arco di Trento, 2014 e viene qui riproposto per la sua attualità, sperando di fare cosa gradita a tutti i navalisti italiani.
Ringraziamo l’Autore e gli editori per la gentile concessione.
La prima guerra mondiale sul lago di Garda tra spionaggio, mine e sommergibili
Il tema della presenza della Regia Marina italiana sul lago di Garda nella prima guerra mondiale è già stato indagato in alcune pregevoli ricerche (1): voglio qui approfondire alcuni aspetti meno noti, ma, spero, ugualmente interessanti, inerenti agli aspetti navali delle due parti in guerra sul lago.
L’importanza strategica del lago di Garda è nota a tutti, ed era divenuta ancor più palese con l’individuazione confinaria risorgimentale. L’originaria frontiera sulla direttrice est-ovest del 1859 si è spostata in direzione nord-sud nel 1866, mantenendo il lago in una situazione di “terra di confine”. E ogni zona di confine è soggetta ad azioni di contrabbando e di spionaggio. Azioni di contrabbando di merci e di uomini; i “fuoriusciti” che (ancora) nell’Ottocento scappano dagli austriaci, o gli agenti italiani che attraversano il lago per introdurre ogni materiale utile alla causa della libertà.
Cito poi quelle che oggi verrebbero chiamate covered operations, come il progetto di Garibaldi del 1860, peraltro mai attuato, di impadronirsi della Flottiglia italiana del Garda e «marciare contro la flotta austriaca» (2). Proprio per reprimere il contrabbando arriveranno, nel 1886, quelle torpediniere che, più volte “rattoppate”, logore, prive di pezzi di rispetto, con le macchine esauste, avranno comunque ampia parte nella difesa del lago nella Grande Guerra.
Lo spionaggio, invece, è un’altra cosa. Anzi, è tutt’altra cosa. Ne sa qualcosa un certo signor Goethe, che rischia l’arresto per attività di spionaggio, a Malcesine, mentre cerca, un po’ ingenuamente, di ritrarre il castello (3).
In tempi più vicini a noi l’attività d’intelligence sul lago assume un’importanza di ampio rilievo; inizia ben prima della Grande Guerra, ancora in tempo di pace, in ossequio al motto latino di Vegezio: si vis pacem para bellum.
Il turismo, ad esempio, crea occasioni per ambo le parti di assumere informazioni utili ai propri scopi.
Nella prima decade del Novecento si sviluppa, infatti, il fenomeno delle “gite patriottiche”: escursioni in terra trentina diventano l’occasione per rivendicare l’italianità delle terre irredente e ottenere dati di rilevante interesse. È anche in queste circostanze che gli informatori italiani, travestiti da innocenti turisti, riescono a riportare notizie di non trascurabile importanza. Capita anche l’inverso: patrioti di lingua italiana residenti in Trentino che con lo stesso metodo recapitano informazioni in Italia.
Mario De Corradi, di Arco, ad esempio, si unisce spesso a comitive in gita riuscendo a passare le informazioni tramite le Guardie di Finanza ai posti di frontiera. È un agronomo professionista e in questa sua qualità ha piena libertà di movimento. Riesce a fare due copie di una carta topografica della zona e ne deposita una presso lo studio dell’amico avvocato Bruni in Malcesine. Tiene con sé la seconda copia e la colora con toni e gradazioni diverse per indicare i vari strati geologici-agricoli a scopo di studio.
Su quest’ultima copia segna a matita i riferimenti interessanti, li riporta su un lucido privo di altre identificazioni e cancella poi i segni sull’originale. Alla prima occasione si reca a Malcesine dall’avvocato, sovrappone il lucido sulla mappa e fissa così le informazioni.
Anche Guido Poli, sindaco di Riva dal 1906 al 1910, trasmette notizie relative alle fortificazioni attraverso il Comando della Guardia di Finanza di Limone (4), così altre persone che dovranno pagare con l’intermanento o il confino (5). Per non dire di Giovanni Pedrotti, dello stesso Benito Mussolini e di altri esponenti filoitaliani accusati di spionaggio, espulsi dal Trentino o costretti a espatriare in Italia (6).
Il movimento di gitanti, forestieri e “ufficialità austriaca” a Limone costringe il sindaco del paese, nel 1907, a richiedere l’apertura di una stazione dei Carabinieri, ma già l’anno prima era stata distaccata, sul posto, una Compagnia di alpini, proprio con il compito di controllare la zona e reprimere eventuali casi di spionaggio (7).
Anche per l’altra fazione il turismo è parte essenziale del sistema spionistico. Tedeschi e austriaci acquistano e costruiscono sul lago ville e residenze, alberghi e sanatori attraverso cui svolgono una vera e propria opera di “colonizzazione”, fino a un certo momento accettata e stimolata dai residenti e dalle amministrazioni locali per il notevole afflusso di capitali e lavoro che ne consegue. È facile capire come nelle pieghe di questo tipo di attività ben si nascondano e agiscano indisturbati spie ed informatori.
Evidenzia in maniera chiara questa situazione un articolo apparso, a guerra iniziata, sulla rivista “La Guerra Italiana”:
«È da ritenere che nessun funzionario della politica italiana s’inquietasse punto della presenza di tanti stranieri in terra nostra, né si curasse di approfondire se fosse solamente il dolce clima per cui alle porte d’Italia soggiornasse una folla di austro-tedeschi, tutti dall’aspetto di gente studiosa: militari, alpinisti e fotografi per eccellenza; per cui si costruivano alberghi e ville con capitali austrotedeschi; per cui si faceva seguito a questi forestieri una tribù di servitorame della loro stessa nazionalità, e persino negozianti di mode e di chincaglierie, parrucchieri, dentisti, medici e uno spedizioniere per l’inoltro e il ricevimento dei bagagli, tutti sudditi austriaci.
E da Salò sino a Riva era tutta una fila di alberghi e pensioni esercitate da austriaci e tedeschi vietate alla comune degli italiani se non altro dalla cucina che si faceva e dai prezzi che si praticavano.
Vicino agli alberghi per i touristi sorsero case di salute, gabinetti di specialisti di Vienna e Berlino, un casino di gioco con sala di concerto…Gli elenchi degli al berghi segnavano ospiti di Vienna, Monaco, Lipsia, Gratz, Innsbruck, Berlino, Budapest, Trieste, Lubiana…erano persone altolocate, munite di carte geografiche e guide esattissime, così da permettere loro escursioni in ogni angolo delle provincie di Brescia e di Verona. E si interessavano di ogni cosa, dalla vita industriale a quella privata delle popolazioni locali, la compagnia toglieva ogni sospetto alle loro mosse, sebbene l’incedere marziale tradisse spesso la condizione di militari in vacanza o in missione.E non sono molti anni che un professionista del sito parlava molto chiaro in un giornale bresciano invitando il nostro governo ad occuparsi dell’attiva, crescente infiltrazione tedesca…adesso si vede la fondatezza dell’allarme e la gravità dei fatti accennati, che ledevano la dignità degli italiani e palesano ora la lunga e tenace preparazione.
Che venivano a fare in Italia questi signori? Lo dicono gli avvenimenti. Lo studio era bene attento sulle nostre difese militari. Erano tenute d’occhio le armerie del bresciano. Si badava alle organizzazioni militari, alle manovre, alle guarnigioni lungo il lago, alla viabilità, ai mezzi di trasporto, alla loro potenzialità. Insomma ogni attenzione era per tutto quello che si poteva riferire ad una calata austriaca nel Veneto e nella Lombardia. Si studiavano, sulle colline dialogando in cattivo italiano con i contadini, i costumi, le autorità, i prodotti della nostra terra, gli umori del popolo, e la conoscenza dei luoghi era fatta sulla scorta di carte topografiche eguali a quelle usate dal nostro esercito» (8).
In realtà, non è del tutto vero che nessuno vigila: semplicemente, negli anni precedenti la guerra, non vi è in Italia un vero e proprio servizio d’informazione e controspionaggio, al contrario delle altre nazioni. La Gran Bretagna si avvale dell’Intelligence Service creato proprio in previsione di un conflitto con la Germania; la Francia dispone del Deuxieme Bureau. Nell’impero asburgico è attivo, sin dalla metà dell’Ottocento, l’Evidenzbureau.
In Italia il controspionaggio “civile” è affidato all’Ufficio Riservato della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza che, tuttavia, gestisce questo compito assieme a tanti altri.
L’attività di raccolta e analisi delle informazioni, nei confronti dell’Austria-Ungheria negli anni Dieci, è svolta dal Comando del Corpo di Stato Maggiore, tramite l’Ufficio I e la Sezione Austria-Ungheria dell’Ufficio Scacchiere Orientale; entrambi facevano poi capo al Reparto Operazioni. Per quanto riguarda le fonti, l’analisi si riferiva anzitutto a notizie non classificate, acquisite tramite traduzioni di articoli di stampa, libri e pubblicazioni varie.
Più importante era invece il lavoro dei cosiddetti “fiduciari”, alias cittadini della monarchia asburgica che operavano come informatori a favore dell’Italia. Quest’attività, favorita dallo spirito irredentistico, era coordinata e gestita da ufficiali del servizio informazioni, inquadrati in unità di stanza alla frontiera, soprattutto reparti alpini, o da ufficiali dei carabinieri, che avevano anche il compito di svolgere, in incognito, ricognizioni oltre confine. Quest’ultime si trasformavano in piani operativi, progettati per azioni di sabotaggio e blitz contro obiettivi sensibili. Nel 1897, 98 e 99, ad esempio, il capitano De Lutti esegue sistematiche ricognizioni del campo trincerato di Riva (9).
Sin dalla fine del secolo, il Comando di Corpo di Stato Maggiore stila una serie di monografie sulle principali vie di penetrazione in territorio nemico, monografie che vengono periodicamente aggiornate attraverso i dati forniti da informatori e disertori. Solo dopo il periodo della neutralità, in cui il nostro Paese diviene il più importante crocevia spionistico europeo, e all’entrata in guerra dell’Italia, l’Ufficio Riservato viene affiancato dai servizi segreti dell’Esercito e della Marina, coadiuvati dai Reali Carabinieri e dalla Regia Guardia di Finanza, per quanto riguarda la raccolta d’informazioni.
Ciò non significa che non vi sia, al contempo, un’attività di vigilanza. L’Electra è un nuovo battello “a benzina” che nel 1912 solca le acque del lago di Garda. Non è molto conosciuto poiché appartenente alla Società Navigazione Rivana, costituita dai signori Antonio e Bortolo Cretti, che ne è anche comandante. La società nasce per fare concorrenza all’italiana Società di Navigazione del Lago di Garda e, se inizialmente gestisce tratte di scopo commerciale, a carattere periodico, tra Riva, Torbole e il Ponale, in seguito estende la sua attività anche verso Limone e Malcesine, le sole fermate per cui è autorizzata ad operare in territorio italiano. O almeno così dovrebbe.
Emerge invece dalla documentazione del Gabinetto Riservato della Prefettura di Verona (10) che, come segnalato dall’Arma dei Reali Carabinieri il 12 maggio 1912, il battello effettua una corsa settimanale, il venerdì, sino a San Vigilio, sostando là per due ore.
Nulla di particolare, sennonché la Società di Navigazione Rivana, in realtà, attraversa il confine di Stato priva dei necessari permessi della Prefettura di Verona, con uno sbarco non autorizzato in territorio italiano.
Neppure le autorità militari risultano informate. Questo fatto non è di secondaria importanza; in realtà si sospetta che agenti nemici operino attività di spionaggio fotografando o prendendo schizzi dell’isola del Trimelone. L’attracco a San Vigilio, infatti, comporta il transito nelle vicinanze dell’isola che, espropriata dallo Stato italiano nel 1909 a don Livio Borghese, dal gennaio 1910 è oggetto di trasformazione in un baluardo militare, con la costruzione di un munito fortilizio (11).
I timori appaiono dunque fondati e le autorità richiamano la società alla scrupolosa osservanza delle prescrizioni, limitando gli attracchi ai soli scali di Malcesine e Limone, onde evitare pericoli di spionaggio.
Nell’agosto del 1914 viene interrotto l’approdo dei piroscafi a Riva, proprio per limitare il flusso di stranieri, servizio che riprenderà solo nel novembre dello stesso anno.
La presenza di questi ultimi, soprattutto tedeschi, nonostante la guerra in corso e gli obblighi di leva, continua a sollevare perplessità, tanto che, il 3 dicembre 1914, con una nota riservata alla Direzione generale della PS, il Prefetto di Verona chiede di istituire un servizio di sorveglianza a Malcesine, composto da un funzionario e due agenti in borghese.
La richiesta è accolta (12). Ma già una circolare riservatissima del Ministero dell’Interno del 12 novembre 1914, Ufficio Riservato, raccomandava ai Prefetti di intensificare la vigilanza su «sedicenti disertori, commercianti, giornalisti, guide, corrieri privati, studiosi e touristes» soprattutto nei pressi delle frontiere, delle fortificazioni ecc. (13). Parallelamente continua l’attività dei servizi informativi militari.
Allo scoppio della guerra, comunque, le difese austriache del fronte del Garda sono note. Afferma, infatti, un autore tedesco:
«… lo spionaggio italiano svolgeva un’attività molto intensa per cercare di raccogliere informazioni sulla forte guarnigione di Riva e sulle opere di fortificazione austriache, e vi partecipavano uomini di Arco e Riva. La presenza di perlustratori (appositamente) addestrati e forse di ufficiali dell’esercito italiano nel posto doganale di Riva (quindi su suolo austriaco) che da qui volevano indagare su alcuni segreti militari austriaci godendo dell’immunità di funzionario doganale italiano era un segreto di Pulcinella. Prima del 1915 gli italiani conoscevano quasi tutto delle fortificazioni austriache, ma la cosa non fu loro di molta utilità…» (14).
Il Comando del V Corpo d’Armata, con sede a Verona, pubblica già nel maggio del 1915 un tomo di 150 pagine dal titolo Apprestamenti militari austriaci alla frontiera italiana dal Garda al passo di Monte Croce Comelico che descrive sia le opere permanenti di difesa, sia quelle di fortificazione campale, con le opere accessorie.
Allo scoppio della guerra gli incarichi d’informazione e soprattutto di controspionaggio interessano particolarmente i Reali Carabinieri, sui quali gravano già, peraltro, incombenze di vario genere. Un’apposita nota, riservatissima, del Ministro dell’Interno, in data 3 maggio 1915, li sgrava da altri incarichi, soprattutto dagli accertamenti amministrativi e affida all’Arma «nel grave momento attuale… servizi delicatissimi e improrogabili».
Tuttavia, almeno per quanto emerge dai rapporti mensili dell’Arma, custoditi nel fascicolo Ufficio Riservato della Prefettura di Verona, negli anni di guerra, poco o niente emerge se non un generico «nulla da segnalare» (15).
Il territorio del lago di Garda, come zona sensibile, ricadeva sotto la competenza degli Uffici Staccati Informazioni di Verona e Brescia. Questi uffici operavano inizialmente sotto la copertura della Commissione per l’Emigrazione Trentina di Milano e, istituiti nel periodo della neutralità e dipendenti allora dal Capo di Stato Maggiore, passano, all’inizio della guerra, a servire come centri di raccolta d’informazioni per il Comando supremo dell’esercito e le grandi unità mobilitate (16). In seguito, questi vengono assegnati al Comando della I Armata, con sede a Verona e competente per territorio. Hanno il compito di «raccogliere e vagliare informazioni che interessano il nemico, sventare eventualmente il suo analogo servizio e trarlo se possibile in inganno».
Senza entrare nei dettagli, l’Ufficio Informazioni diretto da Tullio Marchetti articola il suo lavoro con la pubblicazione di monografie, con bollettini mensili riguardanti l’artiglieria e bollettini quindicinali sulla situazione nemica in generale.
Si aggiungono poi notiziari, inquadrati per categorie, su argomenti vari: retrovie nemiche, organizzazione e sistemazione reparti nemici, interrogatori dei prigionieri, dei fuggitivi, dei disertori, ricognizioni fotografiche aeree, intercettazioni telefoniche e il servizio propaganda, nonché attività di controspionaggio, contropropaganda e repressione della falsa informazione disfattista.
A riprova di tale attività di controllo vi è l’arresto e l’immediato processo a Verona nel 1915 del vicesindaco e di alcuni assessori del Comune di Gardone V.T. per propaganda antimilitarista (17).
Un esempio dell’attività dell’Ufficio Informazioni appare la monografia n. 5, in copia riservata, della piazzaforte di Riva, stampata il 22 maggio 1916. La minuziosa analisi delle fortificazioni va ad aggiornare le precedenti monografie ed esamina ogni dettaglio (18).
Al momento dello scoppio delle ostilità, sono ancora poche le misure prese per arginare l’attività d’intelligence nemica. Un promemoria, peraltro privo di data, ma sostanzialmente recepito in una circolare del Centro Informazioni della I Armata il 26 novembre 191519, si sofferma proprio sulle attività di spionaggio esercitate dal nemico in zone non di guerra.
Qui si possono agevolmente raccogliere notizie di varia indole, esercitare attività di contropropaganda, preparare attentati e sabotaggi; agenti nemici con passaporti di nazioni neutrali possono circolare liberamente e indisturbati. Alcune misure preventive sono suggerite nelle improvvise e frequentissime visite in alberghi, locande, nelle case di prostituzione, presso gli affittacamere mediante l’immediata identificazione e l’interrogatorio dei forestieri, nell’istituzione di servizi in borghese sui treni e sui tram (ove va mantenuta la più rigorosa separazione tra civili e militari), nell’interdizione immediata e totale dell’accesso alle zone di retrovia ai sudditi di nazioni nemiche o neutrali, nella revisione dei passaporti per l’interno e dei permessi di soggiorno. Un’altra misura ritenuta importante è la soppressione della pagina degli annunci commerciali nei giornali, i quali si prestano facilmente alla trasmissione di notizie delicate, in linguaggio convenzionale. Per questa attività si suggerisce la creazione ad hoc di commissari o delegati di P.S. con personale indipendente dedicato esclusivamente ad attività di controspionaggio.
L’attività spionistica nemica non è tuttavia lontana dai nostri territori. Nel notiziario dell’Ufficio Informazioni della I Armata del 18 novembre 1916 si rende noto di una cartolina postale, giunta dall’Italia a Zurigo, che indica con precisione la presenza del battaglione n. 37 della Milizia Territoriale a Malcesine (20).
Agenti austriaci in Svizzera riescono ad intercettare la corrispondenza e a ricavare informazioni da lettere o cartoline provenienti anche da zone di guerra e dirette soprattutto a parenti di militari richiamati alle armi, in Italia. La censura, infatti, dà più importanza alle notizie contenute nelle missive piuttosto che ai recapiti dei mittenti o ai timbri postali delle varie Unità o Comandi che, ad occhi attenti, svelano più di quanto scritto. Gli agenti austriaci adoperano vari sistemi in codice per trasmettere informazioni. Uno dei più usati consiste appunto nell’inviare cartoline illustrate. La cartolina indica i luoghi degli eventi con la formula “Saluti da…” indipendentemente dal luogo di partenza della cartolina. La data dell’avvenimento segnalato è indicato con la formula “il giorno… parto per… Rispondimi in questa città”.
La richiesta di denaro viene effettuata con la dicitura “Eugenia partita per… Il giorno… ritornerò a casa.” Il giorno segnalato ad un dato fermo posta della città arriverà la somma di denaro. La volta successiva verrà cambiato il nome di donna. Gli avvenimenti vengono segnalati a mezzo del francobollo che verrà posizionato dritto o rovescio o girato con uno o più sottili tagli corti e netti su un lato. Ad esempio francobollo attaccato rovescio con un solo taglio sul lato sinistro: in corso requisizione benzina; francobollo attaccato orizzontalmente con testa di fianco a destra e un solo taglio sul lato inferiore: mancanza di carbone (21).
Anche lo spionaggio italiano si attiva. Un agente italiano a Riva realizza un ingegnoso sistema di comunicazione attraverso la posizione di persiane e tendine delle finestre della sua casa sul porto; chiuse o aperte o socchiuse, ad orari stabiliti, comunicano, ad occhi attenti a Malcesine, notizie riservate. Ad esempio: finestra più ad occidente aperta, con tendina calata tra le 9 e le 10: arrivo artiglieria; piccolo finestrino a oriente con persiane aperte: offensiva nel settore di Riva. Così facendo, le informazioni riguardanti la piazzaforte di Riva arrivano con una certa continuità.
E sarà proprio la reciproca attività d’intelligence, durante la guerra, a creare quello che, con espressione un po’ forte, può essere visto come “il Grande Inganno” delle opposte forze navali sul lago di Garda, siano esse reali o virtuali.
Ma andiamo con ordine. Le difese di Riva erano note sin dall’inizio delle ostilità. Una però, in particolare, merita un’attenzione più specifica: le mine, posizionate nel lago, a protezione del porto.
Al fine di ostacolare ulteriormente un’eventuale azione via lago, la difesa austriaca integra le postazioni fisse con uno sbarramento di mine che si stende attraverso le acque tra la Batteria Bellavista, un piccolo forte da costa, in calcestruzzo e ferro, costruito tra il 1913 e il 1914, in grado di sbarrare l’accesso al porto, e la punta del Lido.
È un’ostruzione (Balkensperre) composta da cavi d’acciaio a cui sono sospese cariche esplosive, destinate ad interdire l’accesso alle installazioni portuali (22). Le fonti reperite non indicano, con precisione, il tipo di ordigni che erano posizionati in quel sito difensivo: è un aspetto, invece, che appare importante.
Alcuni autori parlano di «cariche esplosive e mine in grado di interdire automaticamente l’accesso al porto a qualunque natante tentasse di entrarvi durante le ore notturne o in caso di nebbia» (23).
Il colonnello Marchetti, capo dell’Ufficio Informazioni della I Armata, afferma:
«Si chiuse il porto di Riva con uno sbarramento acqueo, composto da travi galleggianti, fra loro elasticamente legati, in modo da formare come una catena alla superficie del lago, a cui erano appese, sott’acqua, torpedini e gimnoti (mine elettriche subacquee destinate ad essere fatte esplodere da terra, N.d.A.)» (24).
Un altro autore precisa invece che:
«… dal forte (Bellavista, N.d.A.) partiva una catena galleggiante munita di mine subacquee che potevano essere azionate anche da terra con un collegamento elettrico: questa catena raggiungeva Punta Lido, chiudendo l’accesso mimetizzato al porto di Riva, vigilato da apposite imbarcazioni, ad esempio l’Electra» (25).
Ancora, una pubblicazione ufficiale sia pure nella forma di informativa riservata parla di «mine galleggianti, a vederle sembrano una serie di tavole unite l’una all’altra» (26); una precedente pubblicazione infine precisa che: «fra Bellavista e Punta del Lido, e più internamente fra le due vecchie dogane del porto, sono tese due linee di sbarramento galleggiante su cui sono applicate mine subacquee» (27). Quante sono le mine? Circa 40, forse di più (28). E a cosa servono?
La disposizione di questo tipo di ostruzioni subacquee dimostra, a modesto avviso, il fondato timore di un attacco, condotto, oltre che da mezzi di superficie, anche da uno o più sommergibili italiani, contro obiettivi portuali e/o contro la flottiglia austriaca del Garda. E non sarà un timore infondato.
Solo alla fine della guerra, con l’ardita operazione che porta all’occupazione di Riva del 3 novembre 1918, si avrà l’esatta dimensione del campo di mine. Il rapporto riservatissimo del Comando Servizi R.M. sul Garda, n. 933 del 19 novembre 1918, informa:
«È stato rinvenuto il piano di sbarramento subacqueo della costa già nemica… È composto da gimnoti ad osservazione con 20 kg di alto esplosivo ancorati ad un centinaio di metri dalla costa a profondità variabili dai 4 agli 8 metri. Lo sbarramento era in pessime condizioni, un gran numero di gimnoti mancavano dal posto, altri furono rinvenuti affondati e sfasciati. Delle stazioni di brillamento ne fu trovata una sola che fu subito interrotta: le altre sembra siano state distrutte dal tiro delle nostre artiglierie. Si poterono finora recuperare 27 gimnoti che furono affondati in gran profondità. Appena giunto il chiesto apparecchio di dragaggio si procederà a dragare tutto lo specchio d’acqua. Sono stati messi intanto dei segnali limitanti la zona minata…» (29).
Gli austriaci non sarebbero però i soli a minare il lago di Garda: anche altri lo vorrebbero fare. Nelle tragiche giornate di Caporetto l’esercito italiano appare completamente disgregato: vengono persi oltre 700.000 uomini tra morti, feriti, prigionieri e sbandati, migliaia di cannoni, bombarde, mezzi di ogni tipo. La linea del fronte indietreggia al Piave: solo la conferenza di Peschiera evita l’arretramento sulla linea del Mincio. In questo caso il lago di Garda, che è linea primaria per i rifornimenti alle truppe combattenti, potrebbe diventare un’ulteriore, importantissima, linea di difesa e ripiegamento («La ritirata la fanno solo i nemici!»)(30), tant’è vero che la marina italiana predispone un apposito piano per questa eventualità (Piano Grixoni-Tosti).
Affluiscono in zona anche riserve francesi e inglesi che però, almeno inizialmente, non verranno utilizzate ma tenute prudentemente in riserva, tant’è vero che interverranno solo dopo che le truppe italiane avranno eroicamente contenuto l’esercito nemico sul Piave. Nelle zone attorno al lago di Garda, tra Brescia, Mantova e Verona, si attestano la 10ª Armata francese e la 14ª Armata inglese. Il generale Charles Delme Radcliffe è il capo della missione militare inglese. Conosce bene l’Italia poiché è stato attachè presso l’ambasciata inglese a Roma, prima della guerra. Nelle cupe giornate del novembre 1917 è sul lago di Garda e, in previsione d’una ulteriore ritirata, formula una precisa richiesta al War Cabinet inglese.
Con un telegramma dell’11 novembre chiede espressamente l’invio di altri battelli armati e soprattutto chiede di poter procedere a minare il lago di Garda, trasformandolo in un immenso campo d’esplosivo. La risposta del War Cabinet non si fa attendere. Nel verbale segreto della riunione n. 271 del 17 novembre 1917, si legge testualmente:
«Il Vice Primo Lord del Mare ha riferito che un ufficiale della marina è stato inviato sul lago di Garda per studiare una difesa del lago in caso di operazioni navali degli austriaci. Egli ha ritenuto che non sarebbe possibile una difesa efficace mediante la posa di mine nel lago» (31).
Un progetto, dunque, che non avrà mai attuazione.
Ma torniamo al porto di Riva e alla sua Balkensperre. Cosa c’è di così importante nel porto di Riva? Si tratta solo di impedire uno sbarco italiano o c’è qualcosa di più? Il gioco degli inganni comincia da qui, dalla linea di sbarramento tra la Batteria Bellavista e punta Lido, e dalla flottiglia austriaca. La composizione di quest’ultima era assolutamente misteriosa. Il già citato rapporto riservatissimo indica la flottiglia nemica come composta da «una piccola flottiglia di autoscafi e alcuni barconi in ferro». Altre fonti confermano «alcuni vapori civili e imbarcazioni per la protezione dei confini» (32) e il già citato vapore Electra (33).
Comunque sia composta, la flottiglia dipende dall’esercito austroungarico e non dalla marina (34). In genere la flottiglia austriaca resta rintanata nella sua base, tentando solo sporadiche uscite che si risolvono in un nulla di fatto. Il servizio informazioni della I Armata comunica il 6 maggio 1917 una probabile uscita di motoscafi da Riva, di cui undici nuovi e altri di vecchio tipo, in vista di una possibile azione prevista per il successivo 14 maggio dietro le linee italiane. La notte del 10 luglio 1917 viene segnalato sul lago un insolito movimento di motoscafi italiani e austriaci, che però non si incontrano.
Poche notti dopo, il 28 luglio, due barche nemiche tentano di avvicinarsi alla costa italiana, ma vengono respinte (35). Il Bollettino di Guerra del 28 agosto 1918 riporta: «Un motoscafo avvistato sul lago di Garda presso Torbole venne affondato a cannonate» (36). La notizia trova riscontro anche nell’edizione del 29 agosto 1918 del New York Times che riporta infatti la notizia dell’affondamento, da parte di artiglierie italiane, di un’imbarcazione a motore nemica sul fronte trentino del lago di Garda, avvenuta nella giornata precedente.
Ma qualcos’altro sembra nascondersi nel porto di Riva. Nel Promemoria relativo all’assetto difensivo del Garda del 30 novembre 1917 (37), redatto dal Comando Supremo, a firma dell’ammiraglio Thaon de Revel, si legge che «è stato riferito che a Riva esistano un monitore e qualche galleggiante armato». Il monitore è un tipo di piccola nave corazzata, per impiego costiero, che sarebbe adattissima al teatro delle operazioni del lago. Già nel 1867 la marina italiana aveva progettato di dislocare sul lago di Garda un piccolo monitor corazzato da costruirsi a Venezia e da assemblarsi poi direttamente sul lago: ma i servizi informativi austroungarici ne erano venuti a conoscenza e le vibrate proteste presentate al Ministero degli esteri avevano fatto naufragare il progetto che era stato del tutto abbandonato (38).
Ora la nave esiste realmente: si chiama Linz ed è stata studiata specificatamente dall’esercito austriaco per operare nelle acque gardesane. È una motocannoniera corazzata con un dislocamento di 27 tonnellate, lunga 18,5 m, larga 3,2 m e con un pescaggio di 1,70 m. Ha otto uomini di equipaggio, monta due motori a benzina da 220 cavalli ed è armata con un cannone da 66 mm in torretta corazzata, spessa 10 mm, e tre mitragliatrici da 8 mm. Costruita dai cantieri dello Stabilimento Tecnico Triestino di Linz, viene varata nel 1915. Ma non arriverà mai sul lago di Garda. Destinata al porto di Riva, verrà invece assegnata alla flottiglia del Danubio per essere poi definitivamente trasferita alla Lagunenflotille di Trieste, da dove opererà sui bassi fondali della costa adriatica (39).
I Comandi italiani però temono e considerano attentamente la sua presenza. La Linz sarà solo la prima delle navi fantasma che turberanno i sonni dei Comandi italiani e austriaci in una battaglia virtuale che si combatterà con reciproci colpi d’intelligence e contro intelligence.
Allo scoppio delle ostilità, con il R.D. 16 maggio 1915 n. 725, il governo italiano provvedeva a requisire e trasformare in navi da guerra in piroscafi di linea. Benché solo l’estremità settentrionale del lago, con una piccola parte di sponde, fosse in mano austriaca, era indispensabile predisporre un servizio di sorveglianza e un sistema difensivo tale da prevenire e contrastare azioni di sorpresa, sbarchi alle spalle delle truppe italiane, infiltrazioni d’informatori o sabotatori o attacchi alla navigazione. Veniva così stabilito un Comando R.M. a Peschiera e una base operativa in Val di Sogno, a sud di Malcesine, unitamente al posizionamento di numerose artiglierie, anche di grosso calibro.
La flottiglia del Garda veniva così armata:
- due piroscafi ad elica: Mincio e Garda;
- quattro piroscafi a ruote: Italia (nave ammiraglia sede Comando della flottiglia), Zanardelli, Angelo Emo e Baldo, tutti variamente dotati di cannoni e mitragliatrici di diverso calibro e equipaggiati con proiettori da scoperta;
- due torpediniere classe Euterpe e una pirobarca tipo White seguita da una seconda proveniente dal lago di Como e già in forza alla R. Guardia di Finanza per il servizio anticontrabbando;
- alcune barche da trasporto e appoggio, come la barca a vapore Concordia, che parteciperà allo sbarco di incursori in località Casa Paradiso nella notte 4-5 maggio 1918, e il motoscafo armato Maria II, assieme a qualche altro natante (40).
- Nel maggio del 1917 si aggiunsero i MAS 10 e 12 e un anno dopo i MAS 17, 20 e 203 (41).
Perché i MAS? Non solo perché questo naviglio sottile è quanto di più adatto allo sbarco d’incursori e informatori, ma anche e soprattutto in ragione del suo impiego primario. Com’è noto MAS è l’acronimo di ‘Motoscafo Anti Sommergibile’ ed è proprio la presenza di sommergibili nemici che si teme sul Garda. E non è un timore infondato.
Già da qualche tempo circolano voci, evidentemente raccolte dai servizi d’intelligence, sull’arrivo o sulla presenza, sul lago, di sommergibili austriaci. Questa voce, che sarà poi ripresa e ampliata, ha un nome: Loligo, e la sua storia comincia molto lontano. Loligo è il nome di un piccolo calamaro del Tirreno, ma è anche il nome del primo sommergibile mai realizzato per ricerche biologiche.
La sua avventura comincia con una segnalazione dei servizi segreti della marina austroungarica datata 20 maggio 1913: un ufficiale in incognito, durante un viaggio in treno, conosce casualmente il dott. Paul Schottlander, un ricco e appassionato biologo di Breslavia, che aveva ordinato, a proprie spese, ai cantieri Ganz-Danubius di Fiume, la costruzione di un sommergibile per la stazione zoologica tedesca di Rovigno, in Istria.
La conversazione, che mette al corrente l’ufficiale dei particolari tecnici, allarma i servizi e viene ordinata un’indagine approfondita. Emerge allora che il sommergibile, che inizialmente avrebbe dovuto essere costruito in toto dal silurificio Whitehead di Fiume, passa ai cantieri Ganz Danubius, che lo avrebbe realizzato a prezzo contenuto, probabilmente per motivi pubblicitari, mentre il resto dell’equipaggiamento lo avrebbe fornito lo stesso silurificio.
Il progetto, che era stato presentato personalmente al Kaiser Guglielmo II nella primavera del 1912, era a totale carico dello scienziato che se ne sarebbe assunto i costi di costruzione e operativi per i primi cinque anni, e sarebbe stato usato per studi biologici e archeologici.
Il sommergibile, lungo 12,24 m, con il diametro di 2,7 m, un pescaggio di 2,13-2,44 m e un dislocamento di 44/50 tonnellate, era fornito di un motore elettrico da 30 CV che garantiva una velocità di 7 nodi in emersione e di 4 nodi in immersione. La massima profondità raggiungibile era di 50 metri. Era privo di periscopio e di strumenti di navigazione, ma era munito di oblò di osservazione; necessitava di un equipaggio di tre uomini e poteva imbarcare due ricercatori e un operatore.
Il sommergibile doveva essere consegnato il 15 settembre 1914 ed era già stato designato anche il suo comandante, un danese di nome Max Valentiner. Durante la guerra, al comando di sommergibili tedeschi battenti bandiera austroungarica, Valentiner affonderà decine di navi mercantili, anche neutrali, causando la morte di centinaia di civili e marinai inermi. Con lo scoppio delle ostilità, la marina austroungarica s’interessa del Loligo e ne predispone la trasformazione destinandolo a Trieste per la difesa della costa istriana. Il sommergibile verrà munito di un motore a benzina, di un periscopio e di due telai esterni per il lancio di siluri da 450 mm.
Le prove a mare iniziano nell’inverno 1914-1915, ma a questo punto la marina rinuncia all’acquisto. Solo dopo l’entrata in guerra dell’Italia riprende l’interesse per il piccolo mezzo subacqueo. Questa volta è l’esercito che se ne occupa, poiché lo ritiene particolarmente adatto all’impiego nel lago di Garda. Il Comando supremo austriaco vede nel piccolo sommergibile l’unico vero mezzo idoneo a disturbare i trasporti di rifornimenti, ostacolare la navigazione, affondare la flottiglia
italiana e sbarcare, indisturbato, spie e sabotatori. Il suo trasporto per ferrovia appare possibile senza grossi problemi, almeno sino a Trento, e le profondità del lago sono adatte al suo impiego operativo.Viene indicato anche il nome dell’ufficiale di marina (evidentemente l’esercito non ha personale addestrato in tal senso) che presumibilmente dovrà assumere il comando di uno o più sommergibili: si tratta del capitano di corvetta Welserheimb (42).
Lo spostamento del fronte e le difficoltà di costruzione delle strutture necessarie a farlo operare, alla fine, ne impediscono l’arrivo e l’approntamento, unitamente al fatto che, probabilmente, l’eccezionale trasporto e il collocamento nel porto di Riva non sarebbero sfuggiti al servizio informazioni italiano, mentre il sito di collocamento avrebbe potuto essere oggetto di ricognizione prima e di un facile bombardamento aereo in seguito. I lavori vengono quindi sospesi a tempo indeterminato: il Loligo resterà abbandonato nel bacino portuale di Fiume per tutta la durata della guerra e in seguito demolito, dopo essere venduto come ferrovecchio, nel 1927 (43).
I Comandi italiani, tuttavia, ignorano queste vicende e temono che questo, o altri sommergibili, siano già nel porto di Riva. Proprio per far fronte a questo pericolo il capitano di fregata Grixoni, comandante della flottiglia del Garda, il 27 novembre 1917, con proprio dispaccio prot. n. 319 Riservatissimo, richiede l’invio di nuovo materiale e particolarmente «di quattro MAS e… di due piccoli sommergibili da 30 tonnellate come sorveglianza avanzata nelle acque di Riva ed alla foce del Sarca e per contrastare eventualmente tentativi consimili fatti dal nemico» (44).
Il pericolo è molto sentito: gli italiani credono con fermezza nella presenza di forze subacquee nemiche sul lago, tant’è vero che i sommergibili richiesti, appartenenti alla classe A45, serviranno anche per respingere eventuali attacchi avversari, condotti con lo stesso mezzo. Nonostante la minaccia, il Comando non ritiene di fornire tali mezzi, mentre invia tre dei quattro MAS richiesti, portando definitivamente tale forza a cinque mezzi; di questi il MAS 10 andrà perduto per incendio il 17 marzo 1918. La richiesta viene reiterata dal comandante Grixoni con un messaggio inviato il 21 dicembre 1917.
Nell’ambito della riorganizzazione difensiva il comandante prospetta più precisamente «l’opportunità di dislocare sul lago due sommergibili da 30 tonnellate, provveduti possibilmente di un cannone per la sorveglianza avanzata nelle acque di Riva e della foce del Sarca e per contrastare eventuale iniziativa consimile da parte del nemico. Il Capo di Stato Maggiore desidera che sia esaminata la possibilità di destinarvi due unità della serie B con motore a benzina». La nuova richiesta riguarda un recente tipo di minisommergibile, anch’esso ritenuto adatto ad operare sul lago (46).
Intanto, il 18 dicembre 1917, viene disposto il posizionamento di una rete parasiluri all’imbocco della rada di Val di Sogno, sede operativa della Flottiglia Italiana del Garda (47). La documentazione dell’archivio della Marina Militare evidenzia ancora una volta il timore dell’arma subacquea nemica, timore rinforzato dall’attività di contro intelligence avversaria: l’inganno continua.
Con telegramma cifrato n. 996 del 4 gennaio 1918, infatti, la preoccupazione si rinforza. Il comandante Tosti comunica:
«Disertore austriaco informa che si preparerebbe azione in forza contro settore Lago di Garda e Bassa Val Lagarina e che tale azione sarebbe appoggiata da una squadriglia di 6 sommergibili giunti in epoca imprecisata; i sommergibili sarebbero attualmente smontati nelle gallerie della strada del Ponale… Ne informo V.E. in relazione telegramma 144931 del 25 dicembre per il caso ritenesse opportuno l’invio di motoscafi antisommergibili» (48).
L’opera di controinformazione nemica dà i suoi frutti. Già il 10 gennaio il C.S.M. della Marina dispone l’invio dei MAS richiesti e ordina che l’eventuale spostamento di truppe, compreso il Comando di Corpo d’Armata, avvenga parzialmente per via terrestre. Il 20 marzo 1918 si annuncia l’arrivo di tubi acustici sottomarini (idrofoni tipo C) destinati all’ascolto e alla sorveglianza subacquea.
Il 5 giugno giungono nuovi idrofoni di fabbricazione americana che vengono posizionati a bordo delle navi di pattuglia e a Punta Reamòl, a Malcesine in località Campagnola, al forte dell’Isola del Trimelone, sull’Isola di Garda e a Torri del Benaco(49). Viene prevista anche l’installazione di una barriera galleggiante a rete, tra Punta Corno di Bò, sulla sponda orientale, e Punta Gola, sulla sponda occidentale del lago, al fine di ostacolare la navigazione avversaria sopra e sotto la superficie dell’acqua. Ma nulla accade: ogni parte, convinta delle opposte intenzioni, prepara difese e contromisure che non entreranno mai in azione ma che costringeranno entrambi all’attesa di un particolare attacco che non avverrà mai. Anzi, gli italiani non riusciranno a penetrare in maniera certa lo schermo di segretezza avversario e crederanno all’esistenza di una pericolosa formazione di naviglio nemico sino alla fine della guerra. Il 3 novembre 1918 le truppe italiane sbarcano a Riva.
Lì troveranno la tanto temuta flottiglia austriaca: sette motoscafi mancanti dei motori (50). Ma nello stesso giorno, a Villa Giusti, vicino a Padova, viene firmato l’armistizio. Della commissione italiana fa parte anche il colonnello Tullio Marchetti, che ben conosce la realtà navale del lago di Garda. A lui è probabilmente attribuibile una piccola postilla all’interno delle ‘Clausole di Armistizio’, ad ulteriore conferma di quanto esposto sinora. La terza clausola navale, infatti, così prevede: «La flottiglia del lago di Garda sarà consegnata nel porto di Riva alle Potenze Associate». Il piccolo, o grande, inganno del lago di Garda viene in questo modo consegnato alla storia (51).
Marco Faraoni
Note
1. A. Santoni, La Marina italiana sul lago di Garda durante la I guerra mondiale, in La prima guerra mondiale e il Trentino. Atti del Convegno, Rovereto 1978; G. Colliva, La marina italiana sul lago di Garda 1915-1918, in “Rivista Marittima”, vol. 395, giugno 1969, Roma 1969; G. Terranova, A. Miorelli, La Marina Militare Italiana sul Lago di Garda nella Prima Guerra Mondiale, in “I Quattro Vicariati e le zone limitrofe”, n. 108, Ala 2010, pp. 83-135; G. Galuppini, Le operazioni navali sui laghi Maggiore e di Garda nella seconda e terza guerra d’indipendenza e nella prima guerra mondiale, in “Bollettino d’Archivio”, dicembre 2000, Roma 2000; F. Fauvre, La Marina nella grande guerra le operazioni navali, aeree subacquee e terrestri in Adriatico, Udine 2008; S. Laria, Le Fiamme Gialle sul lago. Pagine della Grande Guerra, in “Il Garda”, anno 7, n. 3, giugno 1932, Verona 1932; AA.VV., Enciclopedia Militare, vol. IV, Milano 1933, alla voce Garda.
2. M. Faraoni, Cannoniere sul Garda, Verona 2009, p. 131.
3. Cfr. E. Zaniboni, L’Italia alla fine del Secolo XVIII nel “Viaggio” e nelle altre opere di J. W. Goethe, Napoli 1907; T. Ferro, Goethe accusato di spionaggio a Malcesine, in “Quaderni del Garda”, anno I, n. 3, Capriano del Colle 2007, pp. 99-102.
4. G. Fioroni, La valle di Ledro nella prima guerra mondiale 1915-1918, Trento 1993, pp. 95-96.
5. Cfr. Il Kastello. Giacomo Bozzoni, libero cittadino, profugo, internato, prigioniero politico. Cascata del Varone, Bregenz, Gross-Siegharts, Innsbruck, 1915-1918, a cura di Mauro Grazioli, Arco 1995.
6. V. Tarolli, L’affare Colpi. Spionaggio e irredentismo alla vigilia della Grande Guerra, Arco, 2007.
7. D. FAvA, La Grande Guerra sul fronte tra il Garda e Ledro. Le fotografie e gli scritti del tenente Giuseppe Cipelli, Arco 2000, pp. 8-10.
8. E. Mercatali, G. Vincenzoni, La Guerra Italiana, vol. I, anno 1915, Milano 1921, pp. 302-304.
9. H. Kramer, Flottillenkrieg auf dem Gardasee, Austria 1956.
10. Archivio di Stato di Verona (= ASV), b. Prefettura, fasc. Gabinetto Riservato Spionaggio.
11. V. S. Gondola, Trimelone: Isola da riscoprire, in “Quaderni del Garda”, anno I, n. 1, Capriano del Colle 2007, pp. 89-92.
12. A. Fiori, Il controspionaggio “civile”: dalla neutralità alla creazione dell’Ufficio Centrale d’investigazione 1914-1916, in “Italia contemporanea”, giugno 2007, n. 247, p. 200 e n. 23.
13. Ibidem, n. 25.
14. Kramer, Flottillenkrieg auf dem Gardasee, cit.
15. ASV, b. Prefettura cit.
16. Archivio Museo Della Guerra di Rovereto (d’ora in poi AMDGR), Fondo Marchetti, doc. 4, Comando del Corpo di Stato Maggiore, Ufficio I, n. 1245 prot., Riservatissimo.
17. E. Mercatali, G. Vincenzoni, La Guerra Italiana, vol. I, Milano 1921, p. 63.
18. AMDGR, Fondo Marchetti cit., Comando I Armata – Ufficio Informazioni, Monogra a n. 5, La piazzaforte di Riva, Parte II, 22 maggio 1916.
19. Ibidem.
20. AMDGR, Fondo Marchetti cit., Comando della I Armata Ufficio Informazioni, Notiziario n.29, cat. A, 18 novembre 1916, p. 1.
21. AMDGR, Fondo Marchetti cit., doc. 308.
22. G. Sciocchetti, Confronto tra le fortificazioni permanenti austroungariche e quelle italiane realizzate nella zona del Lago di Garda tra Otto e Novecento, in AA.VV., I forti austroungarici nell’Alto Garda: che farne? Atti del Convegno in Nago (TN) 27 febbraio-2 marzo 2002, Riva del Garda 2003, p. 132.
23. Ibidem.
24. T. Marchetti, Un tragico episodio di guerra nautica sul fronte trentino (3 luglio 1918) in G. Riccadonna (a cura di), Il 90° del martire cecoslovacco per l’Italia Alois Storch, Museo civico di Riva del Garda, Quaderni di storia n. 3, Riva del Garda 2008, p. 21.
25. M. Zattera, citato in Festungabschnitt, ovvero il settore fortificato di Riva del Garda cit. da Ivan
Righi www.tuttostoria.net/focus_recensione_storia_contemporanea.aspx?ID.
26. AMDGR, Fondo Marchetti cit., Monografia n. 5 La piazzaforte di Riva, Parte II, 22 maggio 1916, p. 12.
27. Documento riservatissimo, senza autore e senza data, ma presumibilmente redatto nella primavera del 1915, p. 30. Il documento si trova in AMDGR, Fondo Marchetti, doc. 31.
28. Ibidem.
29. Terranova, Miorelli, La Marina Militare cit. pp. 132-133.
30. L’affermazione è del Sottocapo di Stato maggiore dell’Esercito Gen. Giardino e si trova in Terranova, Miorelli, La Marina Militare cit., p. 110, Promemoria relativo all’assetto difensivo del Garda, 30 novembre 1917, p. 1.
31. The National Archives, CAB/24/31, Telegram 11 novembre 1917 e War Cabinet Resumè n. 271 del 17 novembre 1917.
32. R. Gregrer in Marine-rundschau, n. 3, marzo 1977, Munchen 1977, p. 121.
33. Vedi nota 20.
34. R. Greger, Austro-hungarian warships of World war I, England 1976, p. 8.
35. F. Martinelli, D. Fava, M. Grazioli, G. Ligasacchi, La grande Guerra nell’Alto Garda. Diario storico militare del Comando del Settore del Monte Altissimo, Salò-Arco 2010, pp. 44, 79, 244, 248.
36. The New York Times, 29 agosto 1918, in: www.nytimes.com/ref/…/nytarchive.htm; Bollettino di Guerra del 28 agosto 1918, in O. Menegus, La prima guerra mondiale sul Monte Baldo, Rovereto 1989, p. 145.
37. Terranova, Miorelli, La Marina Militare cit., p. 111.
38. Promemoria riservato al ministro della Marina, 1874, in Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore
della Marina, busta 2738 bis, riportato in Faraoni, Cannoniere sul Garda cit., p.194.
39. Greger, Austro-hungarian warships cit., pp. 103-104.
40. Relazione La marina sul lago di Garda, autore e data sconosciuti, in Archivio Storico Marina Militare, b. 2378 bis, p. 3; regiamarinaitaliana.forumgratis.org/index.php?&showtopic=349 ; Colliva, La Marina Italiana cit., p. 31.
41. I MAS 10,12,17 e 20 appartenevano al tipo SVAN (Società Veneta Automobili Navali) ed erano costruiti presso i cantieri SVAN a Venezia. Le caratteristiche generali erano: scafo in legno, dislocamento a p.c. da 12,5 a 12,3 t a seconda se versione cannoniera o silurante lunghezza f.t 16 m, larghezza 2,63, immersione p.c. 1,2 m. La velocità massima era di 24 nodi con motore a scoppio e 4 nodi con apparato motore elettrico. L’armamento a seconda delle versioni consisteva in 1 cannone da 47/40, 2-3 mg Colt cal. 6,5 mm 1 tp da rimorchio da 16 kg, 4-6 b.t.g 2 lancia siluri a tenaglia 350/450 mm. L’equipaggio era di 8 uomini.Il MAS 10 fu varato nel 1916 e radiato per affondamento dovuto a incendio il 17 marzo 1918 sul lago di Garda seguito da incaglio e giudicato non recuperabile. Il MAS 12 fu varato anch’esso nel 1916 e fu radiato il 28 settembre 1926. Dotato di motori elettrici, fu modificato realizzando una cabina di comando protetta contro il tiro di fucileria nemica posta sopra la tuga dei motori. Oltre alle abituali missioni di sorveglianza e di appoggio alle operazioni dell’esercito partecipò all’incursione di arditi a Torbole nella notte tra il 4 e il 5 maggio 1918 in sezione con il MAS 203 e a varie missioni di sbarco e recupero informatori. Il MAS 17, varato nel 1916, fu radiato nel 1922. Il MAS 20 fu varato nel 1916 e radiato il 28 settembre 1926. Prima di giungere sul Garda partecipò nella notte tra l’1 e 2 novembre 1916 all’attacco alla corazzata Ferdinand Max penetrando attraverso le ostruzioni del canale di Fasana al comando del T.V. Ildebrando Goiran. Successivamente nella notte tra il 13 e 14 ottobre 1917 seguì una ardita ricognizione attraccando al lato esterno del porto di Trieste. Il MAS 203 era un Tipo Baglietto di costruzione SVAN di Venezia. Le dimensioni e le caratteristiche erano simili a quelle degli altri MAS. Varato nel 1917 e radiato nel 1922, era dotato anch’esso di motori elettrici e raggiungeva la velocità di 26 nodi con il suo motore a scoppio da 480 CV. Dopo un iniziale periodo di servizio a Venezia fu trasferito sul lago di Garda all’inizio 1918. Oltre a prender parte all’operazione del 4-5 luglio 1918 a Torbole e a varie missioni di sbarco e recupero informatori, partecipò all’occupazione di Riva del 3 novembre 1918 da parte di reparti della Marina in sezione con i MAS 12, 17 e 20. Le notizie sono state rinvenute in E. Bagnasco, M.A.S. e mezzi d’assalto
di superficie italiani, Uff. Storico M.M., Roma 2002, pp. 55-71 e 147-154.
42. Dissertation titel der dissertation Erzherzog Eugen von Osterreich soldat – ordensritter – mäzen verfasser mag. (phil.) Johannes Held angestrebter akademischer grad doktor der philosophie (dr.phil.) Wien 2010, pp. 61, 129-130. Le notizie sono state ricavate dai diari dell’arciduca Eugenio d’Austria alle date del 20 agosto, 4 e 6 settembre 1915 alla medesima relazione.
43. R. Greger, “Loligo”: un mini sommergibile tedesco sconosciuto in Marine Rundschau, cit., pp. 119-123; L. Carretta, G. Martini, Minisommergibili nel Garda nelle due guerre mondiali, in A. Miorelli (a cura di), La nascita del primo sindacato trentino (Torbole 1787) e altre storie, Arco 2012, pp. 57-58.
44. Terranova, Miorelli, La Marina Militare cit., pp. 102-103.
45. I sommergibili classe A erano minisommergibili con dislocamento di 31/37 tonnellate, lungo 13,50 m, largo 2,22 m e pescaggio di 2,27 m con apparato motore solo elettrico da 40-60 Cv e unavelocità di 6,8 nodi in superficie e 5 nodi in immersione. La massima profondità raggiungibile eradi 50 m e l’armamento consisteva in 2 siluri esterni da 450 mm. L’equipaggio era composto da 4 uomini. Notizie tecniche ricavate dal sito www..betasom.it › … › Storia › I Sommergibili › I Sommergibili d’Italia.
46. Le caratteristiche generali del sommergibile tascabile classe “B” erano le seguenti: sommergibile trasportabile su ferrovia (tascabile). Dislocamento: in superficie: 40 t, in immersione: 46 t. Dimensioni: lunghezza: 15,12 m, larghezza: 2,32 m, immersione: 2,56 m. Apparato motore di superficie: 1 motore a scoppio Itala tipo Avalve, un’elica – Potenza: 85 cv – Velocità max. insuperficie: 6,9 nodi – Autonomia in superficie: 128 miglia a 6,9 nodi – 225 miglia a 5 nodi. Apparato motore in immersione: 1 motore elettrico di propulsione Savigliano – Potenza: 50 cv – Velocità: 5 nodi – Autonomia in immersione: 9 miglia a 5 nodi – 48 miglia a 3 nodi. Armamento: 2 tls AV da 450mm – 2 siluri. Equipaggio: 1 ufficiale, 4 sottufficiali e marinai. Profondità di collaudo: 50 m. Notizie tecniche ricavate dal sito www.betasom.it › … › Storia › I Sommergibili › I Sommergibili d’Italia.
47. Terranova, Miorelli, La Marina Militare, cit., p. 112.
48. Ivi, p. 113.
49. Ivi, pp. 114-115. Gli idrofoni erano apparecchi destinati a raccogliere rumori, suoni o altre segnalazioni acustiche subacquee e a determinarne la direzione. Il tubo C era costituito da due tubi metallici identici rigidamente collegati ed isolati tra loro: una estremità veniva adattata all’orecchio dell’idrofonista mentre l’altra estremità, terminante con una sferetta di gomma destinata a raccogliere i suoni, veniva immersa nell’acqua. Il recepimento del rumore con la stessa intensità da entrambe le orecchie dava l’indicazione del bersaglio posto lungo l’asse normale alla congiungente delle due sferette. Le notizie sono state reperite in Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, Roma 1970, vol. VI, p. 10.
50. Vedi nota 27.
51. Esprimo un particolare ringraziamento agli amici Cesare Montagnoli, Aldo Miorelli ed Eleonora Padovani per l’ampia collaborazione prestata.
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