Per gentile concessione dell’Amm. (Ris.) Roberto Domini, che ringraziamo, pubblichiamo questo suo contributo relativo alla Battaglia di Midway e all’etica del comando.
Se andrò in mare
che il mio cadavere torni spinto dalle onde;
se ai monti mi chiamerà il dovere
che il verde suolo sia il mio mantello di morte;
così, per onore dell’imperatore,
che io non muoia in pace nel letto di casa.
Antica canzone nipponica
Premessa
Quando mi è stato chiesto di scrivere un breve articolo su una battaglia avvenuta nella Seconda Guerra Mondiale nei mesi di maggio o giugno, non ho potuto che scegliere la battaglia di Midway, non solo per il suo ruolo fondamentale per il successo statunitense nella guerra del Pacifico, ma soprattutto perché rappresenta un momento di svolta operativo: è infatti la prima grande battaglia navale in cui il mezzo aereo si è dimostrato determinante.
Ho affrontato lo studio degli eventi utilizzando la storia in senso applicativo ovvero come un’analisi critica sia delle modalità di svolgimento dei fatti sia del comportamento umano.
Ciò consente di affrontare un momento storico definito, cercando indizi su quanto accaduto al fine di valutare gli eventuali effetti e insegnamenti nelle attività navali odierne.
In sostanza, la storia applicata può rappresentare un’ottima guida per valutare le conseguenze degli errori commessi in passato e di cui conosciamo gli esiti, al fine di evitare di ripeterli nuovamente.
Dopo una breve e generale introduzione, cercherò di spiegare cosa accadde nei primi sei mesi dopo Pearl Harbor sino a Midway, per poi concentrarmi sull’analisi degli eventi accaduti nei primi giorni di giugno 1942 e le conseguenze di quei fatti.
Aspetti Strategici
H. P. Willmott (in The Last Century of Sea Power, vol. 2, pag. 451) scrive che il governo nipponico, nell’ottobre del 1940, sollecita un think tank chiamato Centro di studi sulla guerra totale (Soryokusen kenkyujo) composto da alcuni giovani (le fonti parlano di 30-36 persone di età compresa tra 31 e 37 anni) tra i più brillanti e di diversa estrazione ed esperienza (provenienti dalle Forze armate, dalla società civile e dai media) al fine di elaborare uno studio strategico olistico sull’impatto economico di una guerra contro gli Stati Uniti e sul futuro del Giappone.
Gli esiti presentati il 27 agosto 1941 indicano che il Giappone non sarà in grado di resistere alla guerra contro la Cina (dove operano sin dal 1937 un milione e mezzo di soldati giapponesi) qualora essa si dovesse protrarre oltre i 5 anni. Indica inoltre che una lunga guerra contro gli Stati Uniti non potrebbe mai essere vinta.
Per giustificare tale valutazione si sottolinea che i trasporti marittimi – indispensabili alla sua sopravvivenza soprattutto per il trasporto di petrolio – sono insufficienti a sostenere lo sforzo bellico già nella seconda metà dell’anno 1943 (in effetti il Giappone esaurisce le riserve di combustibile nell’ottobre del 1943) e che a fine 1944 si sarebbe raggiunto il punto limite oltre al quale non si sarebbe più potuto sostenere logisticamente lo sforzo bellico. Si evidenzia inoltre che l’Unione Sovietica avrebbe potuto attaccare il Giappone nelle fasi finali del conflitto, ma non è fatto alcun cenno all’utilizzo della bomba atomica da parte statunitense.
L’esito dello studio però è seppellito, tutti coloro che mettono in dubbio l’alleanza con la Germania e criticano l’eventualità di una guerra contro l’Impero britannico e USA sono messi da parte. Uno studio di questo tipo avrebbe dovuto costringere la leadership nipponica a più accurate valutazioni, ma anziché fare tesoro dei dati emersi, la guida politica preferisce la guerra piuttosto che ricercare una soluzione diplomatica.
Sebbene queste informazioni siano riservate a una cerchia molto ristretta di persone, si può immaginare che, nonostante tutto, il rapporto del Soryokusen kenkyujo sia stato diffuso nella Marina Imperiale in quanto Tameichi Hara, un ufficiale di marina comandante di unità navale, riporta la voce diffusa prima dell’attacco a Pearl Harbor che la marina nipponica sarebbe in grado di “… combattere con vigore solo per due anni”.
Si potrebbe quasi affermare che da un lato la leadership del paese sia ben consapevole del rischio di una guerra contro gli Stati Uniti, dall’altro la spinta guerriera della casta militare controbatte a ogni valutazione realistica con l’esaltazione dei fattori di potenza e la sottostima delle condizioni di vulnerabilità.
Lo stesso reparto operazioni dello Stato Maggiore della Marina si uniforma a questa tendenza contestando i risultati emersi e affermando, già nell’estate del 1941, che le perdite di naviglio mercantile eventualmente subite, sarebbero state ripianate annualmente dalla cantieristica nazionale.
In realtà questa risulta una valutazione troppo ottimistica in quanto, se da un lato dal 1936 al 1941 la produzione navale di naviglio mercantile non supera un valore massimo annuale di 432.000 tonnellate (minimo di 237.000), all’atto pratico le perdite sono nel 1942 pari a 990.246 tonn. e nel 1943 pari a 1.771.350 tonn., riducendo fortemente sia le capacità industriali sia la sopravvivenza della popolazione.
In questo dilemma risiedono forse le premesse di Midway. Chiunque sia a conoscenza della vera situazione, sa assai bene che gli obiettivi della Marina imperiale sono di proteggere la madrepatria da attacchi avversari e raggiungere una vittoria sul campo tale da costringere gli Stati Uniti a sedersi a un tavolo negoziale.
Non è quindi un caso che Yamamoto parli ai comandanti delle unità navali a bordo della nave ammiraglia il 9 ottobre 1941 in questi termini: “… Una volta che la nazione abbia deciso la guerra contro gli alleati, sarà compito della flotta difenderla e sconfiggere il nemico”.
Purtroppo per i giapponesi tutto ciò rappresenta un piano sbagliato, in quanto sin da subito una pace separata con il Giappone viene scartata in una delle prime riunioni tra Roosevelt e Churchill. Per la US Navy le scelte strategiche sono di impedire che i giapponesi riescano a giungere a colpire il territorio metropolitano alleato.
Per fare questo devono distruggere la flotta avversaria, impedendole sia la conquista di atolli e isole in grado di consentire l’estensione del raggio d’azione nipponico, sia lo sbarco di forze in Australia, mantenendo un collegamento costante ed efficace con gli alleati dell’impero britannico. L’eventuale pace sarebbe avvenuta dopo una resa incondizionata.
Premesse Operative
Il Giappone è in guerra con la Cina sin dal 1937 e domina incontrastato in Corea, Manciuria, parte della Cina e l’Indocina francese passata sotto controllo nipponico, così come le Isole Marianne, le Caroline e le Marshall.
Dopo l’attacco navale alla base americana di Pearl Harbor nelle Hawaii, l’Esercito (Dai-Nippon Teikoku Rikugun) e la Marina imperiale (Nippon Kaigun) giapponesi estendono il dominio sulla terraferma sino a Birmania, Thailandia, Singapore, Malesia, Filippine, Indonesia e Nuova Guinea.
Sull’Oceano Pacifico sono state conquistate l’isola di Guam e l’atollo di Wake, allargando il controllo marittimo sino a distanze di 2.500 miglia nautiche verso est e 3.000 verso sud: questa vasta estensione di oceano avrebbe dovuto rappresentare un’adeguata profondità strategica atta a evitare qualsiasi attacco statunitense.
Un patto di non aggressione è in vigore con l’Unione Sovietica e i due stati – sebbene si trovino su fronti opposti a causa delle rispettive alleanze – lo rispettano sino all’agosto del 1945, quando l’URSS invade alcuni territori insulari appartenenti al Giappone. Per il Giappone è essenziale evitare rischi da nord, lasciando che le uniche minacce provengano dai settori occidentali (nell’Oceano Indiano rimangono operative alcune unità della Royal Navy) o dai settori meridionali od orientali, dove la US Navy è in grado di operare anche sfruttando l’alleanza con Australia e Nuova Zelanda.
Due gli eventi che modificano la strategia operativa giapponese che ottiene grandissimi risultati ovunque in Asia in tempi molto inferiori a quelli stimati: il raid su Tokio delle due portaerei Enterprise e Hornet e lo scontro avvenuto nel Mar dei Coralli. Nel primo caso la preoccupazione per la salvaguardia della vita dell’Imperatore spinge il comando della marina nipponica ad aumentare l’area sotto il proprio controllo ovvero ulteriormente allargare la profondità strategica oltre Wake, le isole Marshall e le Gilbert sino alle Midway. Secondariamente, la determinazione della US Navy a impedire l’interruzione delle SLOCs con l’Australia impone di non permettere l’avanzata giapponese in tale teatro operativo che, con lo scontro di Guadalcanal, diventa il secondo turning point strategico dopo Midway.
Premesse Tattiche
Si potrebbe disquisire su molteplici aspetti di natura tattica, ma preferisco concentrare la mia attenzione sulla svolta rappresentata dall’impiego dell’aereo come arma sul mare. La corazzata – nel suo ruolo di capital ship – rimane tale sino alla prima guerra mondiale.
La battaglia dello Jutland ne rappresenta l’apogeo. Essa si è sostituita alle triere greche e romane, alle galee mediterranee e baltiche e ai vascelli. La guerra del Pacifico, e la battaglia delle Midway in particolare, vede la nascita della portaerei come nuova capital ship.
Tale evidenza deriva dal fatto che nessuno scontro con uso di artiglieria ha luogo in quella circostanza, ma soprattutto che i bersagli, su cui si concentrano gli attacchi da entrambe le parti, sono soltanto le portaerei. “… Sebbene sia gli ammiragli giapponesi che gli americani spesso utilizzassero le corazzate come navi di bandiera, le portaerei rappresentarono il cuore delle principali operazioni navali del Pacifico” (2).
La componente aeronavale imbarcata è costruita per far fronte a tre diverse missioni: esistono stormi di caccia che hanno lo scopo di insidiare gli aerei attaccanti, stormi di aerosiluranti con il compito di attaccare a bassa quota (intorno ai 30 metri) lanciando un siluro contro le navi nemiche e stormi di bombardieri in picchiata che attaccano da quote elevate e con angoli di attacco tra gli 80 e 90 gradi, rilasciando delle bombe che possono perforare la coperta ed esplodere internamente.
L’uso dei siluri è certamente più efficace, ma è possibile che, con una ben coordinata azione delle combat air patrol e delle artigliere antiaeree di bordo, l’attacco possa essere contenuto negli effetti. I risultati dei bombardamenti in picchiata possono essere evitati solamente qualora la combat air patrol si trovi a quote elevate e intervenga prima della picchiata. Inoltre le artiglierie antiaeree – ad angolazioni superiori agli 80° – hanno un’efficacia ridotta.
I Protagonisti
Gli ammiragli Nimitz (alle Hawaii) e Yamamoto (imbarcato, ma distante dagli eventi) hanno ruoli determinanti nella vittoria e nella sconfitta. Medesime differenze esistono tra gli ammiraglio Nagumo, piuttosto indeciso e poco adattabile, e Spruance abile calcolatore e coraggioso quanto basta ad accettare quello che Nimitz definisce come “rischio calcolato”.
Il saggio Deconstructing Nimitz’s Principle of Calculated Risk di Robert C. Rubel apparso sul Naval War College Review n° 68 del 2015, discute di tale concetto che potremo sintetizzare traducendo il messaggio di Nimitz a Spruance come l’obbligo di puntare a un’accettabile probabilità di danni ricevibili da un nemico superiore ovvero evitare qualsiasi esposizione delle proprie navi ad attacchi avversari senza che esistano, contemporaneamente, buone possibilità di infliggergli – come risultato della propria esposizione – danni più gravi.
Ciò è valido sia nel contrasto allo sbarco su Midway sia nella fase di attacco aeronavale (1). Spruance dimostra in più occasioni una innata capacità di calcolare gli eventi: dà ordine di dirigere sul nemico e fa decollare i suoi mezzi aerei conscio che essi arriveranno nel momento peggiore per i giapponesi. Durante le prima fasi della notte si allontana verso oriente per evitare gli attacchi notturni con siluri, ma intorno alle 02.00 del 5 giugno cambia rotta, avvicinandosi alle forze nipponiche allo scopo di infliggere nuovi danni.
Nelle figure 15 e 16 sono indicati gli ordini di battaglia nipponico e statunitense:
La flotta giapponese mantiene apparentemente un enorme vantaggio su quella della US Navy ma, nell’evidenza dei fatti, non riesce a prevalere.
La Battaglia di Midway
Per semplificare gli eventi della battaglia, certamente conosciuti a molti sia perché immortalati da due film di grande impatto e fama, sia perché l’argomento è piuttosto dibattuto dalla storiografia navale, ho pensato di condensare le quattro fasi della battaglia in immagini che possano rendere la complessità di un evento drammatico per entrambe le parti.
Tale complessità è giustificata da parte nipponica perché condizionata da tre obiettivi: la distruzione della flotta avversaria, la conquista degli atolli di Midway e un diversivo a nord verso le Isole Aleutine con il bombardamento di Dutch Harbor e la conquista dei due isolotti di Attu e Kiska, indispensabili per chiudere verso nord il lembo di mare da tenere sotto controllo. La composizione della flotta nipponica di cui alla fig. 15 è conseguenza di una pianificazione rigida e non in grado di tenere conto delle numerose variabili che un’operazione navale porta con sé.
Anche nella compagine statunitense sono presenti situazioni difficili e condizionamenti, come le pessime condizioni della portaerei Yorktown, colpita nella battaglia del Mar dei Coralli e rimessa in condizioni di poter navigare e operare in tempi rapidissimi (circa 48 ore a fronte di tre mesi almeno di lavori). A ciò si aggiunge la malattia dell’ammiraglio William Halsey, che viene sostituito proprio da Spruance su suo suggerimento.
Fondamentale si dimostra il ruolo dell’intelligence americana, che riesce a determinare con precisione gli obiettivi nipponici e i tempi dell’operazione.
Conclusioni
In entrambe le flotte l’unicità di comando è assicurata, nel senso che Nagumo e Fletcher hanno la responsabilità della conduzione delle operazioni. In campo statunitense si verifica un’azione brillante quando la Yorktown è colpita: Fletcher cede rapidamente il comando a Spruance e si mette a sua disposizione, comprendendo che quest’ultimo è nelle condizioni di valutare meglio la situazione.
Ciò non si verifica in campo giapponese quando l’ammiraglio Yamaguchi viene annichilito da Nagumo – nel frattempo sbarcato dalla nave ammiraglia – e gli viene di fatto impedita una propria libertà d’azione. Infatti la pianificazione giapponese non concede ai responsabili un’adeguata libertà d’azione a differenza di quanto accade nella US Navy.
Ciò limita la prontezza con cui Nagumo cerca di reagire alle situazioni e, soprattutto, riduce la mobilità delle forze in campo, costrette come sono a effettuare il decollo e gli appontaggi con il vento in prua, nonostante il vento, provenendo da sud-est, sia favorevole ai giapponesi perché non devono modificare la rotta che viene mantenuta in direzione delle isole di Midway. Inoltre le condi-meteo sono favorevoli ai giapponesi nella fase di avvicinamento, in quanto sono nascosti da una coltre di nuvole.
Gli obiettivi per Spruance sono estremamente chiari: la distruzione delle portaerei avversarie. Da parte giapponese perseguire la conquista dell’atollo di Midway entra in contrasto con la distruzione della flotta avversaria: quando i due obiettivi si sovrappongono; creano una situazione condizionante l’andamento degli eventi.
L’attacco a Pearl Harbor influisce sul morale di tutta la nazione americana; l’effettuazione del raid su Tokio modifica parzialmente le cose in quanto, unitamente ai cambiamenti assai positivi nella leadership, crea le premesse per la vittoria a Midway. In campo nipponico, viceversa, sembra che la spinta espansiva si sia esaurita e che emerga la consapevolezza delle difficoltà nello scontro con gli USA.
La marina statunitense e nipponica portano avanti entrambe l’offensiva come regola nella propria pianificazione. In realtà, l’azione a Midway da parte giapponese è un’azione difensiva che viene applicata attraverso una strategia offensiva, in quanto sul mare la difensiva non è applicabile.
L’addestramento dei marinai giapponesi (in particolare delle loro forze aeree) è elevatissimo; non altrettanto si può dire dei marinai statunitensi che rispondono anche alle manchevolezze dei loro mezzi, nettamente inferiori a quelli giapponesi, con un coraggio e una determinazione davvero grandi.
La mancata sorpresa della loro operazione – che i giapponesi davano invece per scontata – è una delle cause principali della sconfitta, unitamente all’inaspettata presenza di 3 portaerei in anticipo nei tempi (le aspettavano per il giorno successivo, convinti che a quel punto gli aeroporti conquistati di Midway sarebbero stati usati contro di esse) e soprattutto nei numeri non previsti.
La mancata ricognizione a opera dei sommergibili nipponici e le informazioni incomplete sui danni riportati dalla Yorktown nella battaglia del Mar dei Coralli (che i giapponesi danno per affondata) li trova completamente impreparati e lenti a reagire.
Da sottolineare la capacità del supporto fornito dall’arsenale della base di Pearl Harbor nel rimettere la portaerei Yorktown in condizioni di operare. Viceversa i giapponesi non sono in grado di ripristinare i danni ricevuti dalle loro portaerei e dagli aerei imbarcati su Shokaku e Zuikaku nel Mar dei Coralli e non sono quindi in grado di utilizzare tutte le portaerei in servizio.
Nella pianificazione delle operazioni da parte giapponese non ci si è attenuti ai concetti di flessibilità e semplicità, rendendo il piano rigido e complicato. Queste caratteristiche sono invece proprie della pianificazione di Nimitz. In campo statunitense sembra essere sempre presente l’iniziativa, mentre i giapponesi reagiscono in ritardo alle sollecitazioni della US Navy.
Fa parzialmente eccezione l’attacco su Midway degli aerei imbarcati che però anche in questo caso è atteso perché previsto in quanto l’intelligence statunitense ha posto rimedio alle manchevolezze emerse nell’attacco a Pearl Harbor e questa volta reagisce con rapidità e competenza. Nonostante un’elevata dose di incertezza sia sempre presente in questi casi, la pianificazione di Nimitz è completamente fondata sulle valutazioni del comparto informativo.
Gli statunitensi ottengono il massimo con uno sforzo adeguato, mentre i giapponesi vedono dimezzare la loro forza d’urto, senza aver ottenuto praticamente nulla.
Le conseguenze per i giapponesi sono davvero umilianti. Se osserviamo il grafico in figura 22, le perdite giapponesi sino a giugno 1942 sono pesanti ma se la loro capacità cantieristica fosse stata in grado di ripianare le perdite, sarebbero state ancora sopportabili.
Ma così non fu, a differenza di quanto invece mostra la capacità industriale statunitense. Nel caso americano le perdite sono sostituite da nuove acquisizioni, quasi sempre in numero superiore a quanto necessario, creando le premesse per una vittoria che era nelle previsioni, ma che Midway ha confermato con anticipo sui tempi.
La cosa che più emerge dalla sconfitta è l’inferiorità nipponica che non ha sbocchi se non in una lenta e lunga agonia. Lo schema in calce indica alcune delle differenze e potenzialità. Ho voluto concentrare la mia attenzione sulla costruzione di velivoli per far comprendere come gli Stati Uniti siano in grado di produrre 5 volte il numero degli aerei nipponici.
Le portaerei perdute, così come gli aerei, non sono facilmente rimpiazzabili da nuove costruzioni. A ciò si aggiungono altri due limiti, legati sia all’addestramento dei piloti sia alla tecnologia aeronautica. Nel primo caso la macchina addestrativa statunitense risponde brillantemente e riesce a sfornare numeri elevati di piloti preparati e pronti al combattimento. Non è solo organizzazione, ma scelta nel preservare i migliori piloti e farne istruttori validi dei giovani, piuttosto che perderli in combattimento. Nel secondo caso la superiorità tecnologica nipponica sarà presto superata da quella statunitense, che progetterà aerei sempre più avanzati ed efficaci.
Per concludere due immagini particolari: la prima, del nostro Rodolfo Claudus, ci mostra una fase della battaglia di Midway vista con i suoi occhi. La seconda è il terribile effetto di un bombardamento sull’incrociatore pesante Mikuma: rappresenta meglio di qualsiasi immagine la sconfitta subita dalla Nippon Kaigun.
Roberto Domini
Note
1. Lincoln Paine, The Sea and Civilisation: a Maritime History of the World, Knopf Doubleday Publishing Group, 2013, pag. 572.
2. In carrying out the task assigned in Operation Plan 29-42 you will be governed by the principle of calculated risk, which you shall interpret to mean the avoidance of exposure of your force to attack by superior enemy forces without good prospect of inflicting, as a result of such exposure, greater damage to the enemy. This applies to the landing phase as well as during preliminary air attacks. Sunto del messaggio di Chester Nimitz ai comandanti delle TF 16 e 17.
3. Immagine di copertina (Fig. 1): The Famous Four Minutes, un quadro di R.G. Smith.
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