Nel 1881 il Corpo delle Guardie Doganali, cambiò denominazione, divenendo Regia Guardia di Finanza, Corpo al quale la legge 8 aprile 1881 n. 149, all’art. 5, riconosceva di fare “parte delle forze militari di guerra dello Stato italiano” (1).
Come già avvenuto nei due decenni precedenti, alla Regia Guardia di Finanza venne confermato il compito di vigilanza finanziaria e doganale, nonché di contrasto al contrabbando in mare e sui laghi di confine, fermi restando, in caso di necessità, sia il concorso nella difesa dell’ordine pubblico sia, in caso di guerra, la mobilitazione al fianco del Regio Esercito e della Regia Marina.
Per quanto riguardava la vigilanza sui laghi di confine, verso la fine del XIX secolo i mezzi navali messi a disposizione erano praticamente inesistenti, per cui, anche in base al Regio Decreto 9 marzo 1893 n. 147, emanato di concerto fra i Ministeri della Marina e delle Finanze, che istituiva formalmente i “Servizi speciali per la vigilanza finanziaria sui laghi Maggiore e di Garda con torpediniere della Regia Marina”, venne deciso di dotare la Regia Guardia di Finanza di unità idonee a svolgere efficacemente tale compito e la scelta cadde appunto su alcune torpediniere costiere (torpediniere di IV classe) e alcune barche torpediniere dismesse dalla Regia Marina, che, dopo averle acquistate nel 1882 dai cantieri britannici Thornycroft, le aveva quasi subito ritenute inidonee ad essere utilizzate operativamente nei nostri mari per le loro carenti caratteristiche nautiche.
Delle quattordici unità che avevano costituito la classe Euterpe (2), nel 1893 dieci vennero temporaneamente assegnate in uso alla Regia Guardia di Finanza, di cui almeno sette per il servizio lacuale, due sul lago di Lugano (7 T, ex Tersicore e 20 T ex Grillo), tre sul Lago di Garda (8 T, ex Polimnia, 9 T, ex Urania e 16 T, ex Lucciola) e due sul Lago Maggiore (19 T, ex Locusta e 21 T, ex Zanzara).
Tre anni dopo, con Regio Decreto 8 marzo 1896, n. 75 (3), tutte le unità furono definitivamente assegnate al Ministero delle Finanze.
Gli equipaggi sarebbero stati formati in parte da personale della Regia Marina, che avrebbe mantenuto la responsabilità della conduzione tecnica e manutentiva dei battelli e in parte, per il servizio di istituto, da personale dipendente dal Ministero delle Finanze, al quale sarebbe spettata la direzione operativa, con supervisione dell’Ufficio Tecnico di Finanza di Milano dei locali comandi della Regia Guardia di Finanza.
Nei primi tempi gli equipaggi erano mediamente costituiti da un capo nocchiere, comandante del battello (4), e sette marinai per la condotta della navigazione e della macchina e da un maresciallo, comandante del drappello di finanzieri, un sottufficiale e due militi (talvolta anche civili), ma nel 1896, il citato Regio Decreto 75/1896, stabilì che il personale della Regia Marina fosse interamente, anche se “gradatamente”, sostituito con militari della Regia Guardia di Finanza (5).
Nacque così il Servizio Navale della Regia Guardia di Finanza, la cui attività venne successivamente disciplinata prima con il Regolamento sul servizio di vigilanza finanziaria coi battelli incrociatori, approvato col Regio Decreto n. 512 del 20 agosto 1897 e successivamente con il Regolamento allegato al Regio Decreto n. 29 del 28 gennaio 1900 (6).
Tutti i piccoli battelli della classe Euterpe dislocavano 13,5 tonnellate, erano lunghi 19,20 m, larghi 2,29 m e con un’immersione di 1,14 m. L’apparato motore da 150 CV sistemato a centro nave consentiva di raggiungere una velocità massima, in condizioni di mare ottimali, di 17,35 nodi.
Lo scafo, caratterizzato da due fumaioli appaiati abbattibili (7) e da una torretta blindata di manovra a poppa, era in acciaio zincato Bessemer dello spessore di 1,5 mm, con lungo sperone di prora e poppa rotonda e con un bordo libero di circa 70-80 cm.
L’armamento consisteva in due tubi lanciasiluri da 356 mm, sistemati in posizione inclinata a prua, e in un cannone revolver a due canne Nordenfelt da 25 mm.
Su tutte le unità consegnate alla Regia Guardia di Finanza e classificate “battelli incrociatori” fu modificata la prua, sbarcati i tubi lanciasiluri e installati grossi proiettori per il servizio di pattugliamento notturno (8).
Una storia tanto singolare quanto tragica fu quella dell’ex torpediniera Locusta poi 19 T.
Consegnata alla Regia Marina nel 1883, venne imbarcata per breve tempo sulla corazzata Caio Duilio, sistemata sul ponte di coperta assieme alla gemella Cicala (poi 18 T), a differenza della Clio (poi 11 T), sistemata invece in un compartimento allagabile a poppa, con accesso al mare mediante una porta stagna azionata idraulicamente (9).
La Locusta, dopo essere stata messa in disarmo, fu ceduta alla Regia Guardia di Finanza nel 1886, ma giunse sul Lago Maggiore soltanto il 9 marzo 1892 (10), proveniente da La Spezia, dove si trovava, e si aggiunse ad un’altra torpediniera della stessa classe, la 21 T, ex Zanzara, arrivata a Cannobio l’11 luglio 1891 e ad una barca a vapore tipo White, la VII W, impiegata nelle acque del lago già dal 7 maggio 1891.
I tre battelli giunsero sul Lago Maggiore trasportati per via ferroviaria (com’era peraltro già accaduto con la torpediniera 18 T ex Polimnia, sempre della classe Euterpe, destinata a prestare servizio sul Lago di Garda).
Come base fu scelta la località di Cannobio, sulla sponda occidentale del lago, abbastanza vicina al confine con la Svizzera e a Cannobio furono per l’occasione costruite una piccola darsena e un’adiacente officina per le riparazioni e la manutenzione delle imbarcazioni della Regia Guardia di Finanza (11), iniziando così il suo servizio di vigilanza al confine svizzero.
Quanto accadde nella notte tra l’8 e il 9 gennaio 1896 alla piccola unità e ai suoi dodici uomini di equipaggio, otto della Regia Marina e quattro della Regia Guardia di Finanza, è un mistero tuttora irrisolto.
Lasciata la darsena di Cannobio nella serata di quel mercoledì 8 gennaio, il battello incrociatore 19 T si diresse subito a nord, verso la vicina frazione di Piaggio Valmara dove, a quanto risulta, sbarcarono il comandante della Tenenza della guardia di Finanza e un milite per effettuare un’ispezione, proseguendo poi verso la sponda lombarda del lago, forse in direzione di Maccagno.
Secondo le cronache dell’epoca le condizioni meteo erano buone, con cielo sereno e acque del lago quasi calme. Come ben sanno però gli amanti della vela, il Lago Maggiore viene talvolta sconvolto dal vento di Mergozzo (nome derivato dall’omonimo paesino della Valdossola), ma non fu certo quello che si alzò durante la fatidica notte, perché il Mergozzo spira da NW e crea problemi solo alla metà inferiore del lago.
È molto più probabile che fosse invece vento di Tramontana, quello che i locali chiamano semplicemente “Maggiore”, un vento da NE forte e potente, che alza notevoli onde.
Sta di fatto che, sempre a quanto narrano le cronache dell’epoca, attorno a mezzanotte si scatenò una vera tempesta e la piccola ex torpediniera vi si trovò in mezzo.
Probabilmente cercò riparo lungo la costa lombarda, ma dove?
Difficile, anzi impossibile rispondere a questa domanda perché, non sono noti né la reale rotta seguita dal 19 T una volta lasciato Piaggio Valmara né il momento in cui affondò.
Secondo una prima ipotesi il battello incrociatore si diresse a sud di Maccagno, dove vi è una sorta di promontorio che avrebbe potuto offrire un discreto ridosso.
Una seconda ipotesi ritiene invece più probabile che il 19 T si sia diretto verso Poggio di Tronzano, una località posta a circa due miglia e mezzo più a nord di Maccagno, sempre lungo la costa lombarda, dove Punta Cavalla crea una piccola insenatura.
Nessuno purtroppo vide cosa accadde esattamente e quindi l’allarme fu dato solo la mattina del 9 gennaio, quando il finanziere di servizio nella darsena di Cannobio, si accorse che il battello non era rientrato.
Iniziarono subito le ricerche.
Per primo, si diresse verso la zona dove qualcuno aveva detto di aver visto un ultimo lampo del riflettore il battello incrociatore gemello 21 T, ex Zanzara, che però rientrò alla base senza aver trovato né il 19 T né alcun segno di naufragio.
Le ricerche proseguirono il giorno successivo e in quelli seguenti, impegnando molte imbarcazioni private e persino alcuni piroscafi di linea, come il Verbano II, l’Eridano e il San Gottardo.
Incredibilmente però non vennero trovati né relitti di sorta nè il corpo di qualcuno degli uomini dell’equipaggio e dopo qualche tempo le ricerche furono sospese.
Circa la mancanza di relitti, in particolare dei salvagente che si trovavano assicurati alle battagliole, ci si è chiesto come mai nessuno di questi sia stato ritrovato, anche nei giorni e settimane successivi, magari molto a sud, dove il forte vento e le correnti li avrebbero probabilmente portati.
La risposta più probabile potrebbe essere questa: i salvagente erano comunque vincolati alle battagliole con una cima, per cui, quando la ex Locusta andò a fondo, le cime, pur svolgendosi alla massima lunghezza, alla fine non poterono che trascinare a fondo anche i salvagente.
Ovviamente non essendoci testimoni della tragedia e non avendo né immagini del relitto né, tantomeno, il relitto stesso, non è possibile sapere quale fu il motivo dell’affondamento: ricordando però che il bordo libero di quei battelli era bassissimo sull’acqua e che l’immersione era di poco più di un metro, il rischio di capovolgimento in caso di forte vento e alte onde al traverso era davvero elevato, anche con passaggi e osteriggi chiusi.
Rischio ulteriormente aumentato per il fatto che, man mano che il carbone in dotazione veniva consumato, il piccolo battello perdeva stabilità.
Interessante anche quanto scrisse l’estensore di un articolo dedicato alla tragedia:
“Come capitano di mare, dirò che a mio vedere la stabilità di queste torpediniere lascia molto a desiderare. Armate come sono, col riflettore che pesa quattro quintali molto al disopra [sic] della linea di galleggiamento, si trovano, con vento in ispecial modo, in condizioni di equilibrio assai svantaggiose. Aggiungasi a ciò l’impiego d’una specie di sacco che l’addetto al riflettore fa per aver ripara dal fumo delle caminiere, la continuità e rapido svolgersi delle onde, la forte risacca, il vento che impetuoso che scende improvviso dalle gole de’ monti, e si avranno tanti coefficienti che torneranno a discapito della stabilità e sicurezza del galleggiante (12)”.
Ad aggravare la prima ipotesi, ve n’è una seconda: se qualche passaggio od osteriggio fosse rimasto aperto (o non perfettamente chiuso) per consentire l’aerazione degli angusti locali interni, consentendo così alle onde di entrare nello scafo, ciò avrebbe causato l’esplosione della caldaia e, assai probabilmente, una importante via d’acqua nello scafo, con conseguente affondamento del battello: ipotesi però poco sostenibile, perché l’esplosione avrebbe inevitabilmente causato la dispersione in acqua di oggetti e frammenti che non furono mai avvistati o ritrovati.
Secondo un’ulteriore teoria, citata in un articolo dell’Eco di Locarno (13), l’ex torpediniera Locusta sarebbe stata speronata e affondata da un “un enorme barcone dalle vele quadre” di contrabbandieri per evitare di essere fermati e arrestati: anche questa ipotesi, però, appare improbabile.
Purtroppo solo se fosse ritrovato il relitto si potrebbe saperne di più sulle reali cause dell’affondamento. Quanto ai corpi, l’ipotesi più plausibile è che tutto l’equipaggio, viste le condizioni del tempo, abbia cercato riparare all’interno del battello e, quando questo è colato a picco, sia rimasto intrappolato nello scafo.
Negli ultimi quattro decenni del secolo scorso varie persone ed organizzazioni hanno tentato di trovare il relitto, ma senza successo.
Citiamo soltanto, ad esempio, nel maggio 1975, l’équipe di sommozzatori della Società romana Italcable, con la quale collaborò anche il Contrammiraglio Gino Galuppini, già Direttore dell’Ufficio storico della Marina Militare (14) o, nel 2006, i sommozzatori de Gruppo Volontari del Garda (15).
Nel 2015 toccò poi a Guido Gay imprenditore titolare della GayMarine, ora IdRobotica, che per primo era riuscito nel 2012 a identificare e documentare con immagini il relitto della corazzata Roma provare, con l’ausilio di un piccolo ROV, il “Pluto Palla”, a cercare la ex Locusta, ma anche lui non ebbe fortuna.
A puro titolo di cronaca, riportiamo che varie fonti affermano che la ricerca dell’ex torpediniera Locusta fu effettuata, durante la metà degli anni Ottanta, anche dal noto esploratore subacqueo svizzero Jacques Piccard, ma non ho trovato alcuna conferma in merito (15).
Sostiene di aver individuato l’area dove giace il relitto Roberto Mazzara, che, sulla base delle rilevazioni effettuate assieme all’Associazione Sub Verbania nel 2018 con un sonar a scansione laterale, afferma si trovi a circa trecento metri di profondità, sprofondato o ricoperto dal fango, in un punto del lago poco distante da Punta Cavalla.
Ipotesi confermata, sempre secondo Mazzara, dai dati rilevati, con la collaborazione dell’Associazione Velica Alto Verbano di Luino, da un rilevatore di anomalie magnetiche.
Mazzara, che pensa di utilizzare un nuovo tipo di sonar per arrivare a identificare con la massima esattezza la posizione del relitto per poi tentarne il recupero (17), ha anche dichiarato di aver effettuato formale denuncia di ritrovamento.
A ricordo degli uomini scomparsi con il battello incrociatore 19 T (ex Locusta), il 20 maggio 2006 è stato posto nei pressi del porto militare della Guardia di Finanza a Cannobio un monumento in cui una ruota di timone sovrasta una lapide con i nomi dei dodici componenti dello sfortunato equipaggio (18).
Vincenzo Meleca
Ringraziamenti
Nel raccogliere suggerimenti, informazioni e precisazioni sulla tragica vicenda del battello incrociatore 19 T ex Locusta ho avuto un importante e prezioso aiuto da parte di molte persone. Cito fra tutti, il Generale di Brigata Antonello Maggiore, e il Colonnello Marco Valli, rispettivamente Comandate e Capo di Stato Maggiore del Centro Navale della Guardia di Finanza; il Maggiore Gerardo Severino, Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza; il Luogotenente Michele Cassano e il Maresciallo Marco Bruno Salzano, rispettivamente Comandante e Capo Squadra Comando Sezione Operativa Navale Guardia di Finanza Lago Maggiore; Gianmaria Minazzi e Clemente Mazzetta, rispettivamente Sindaco e Responsabile dell’ Ufficio Stampa del Comune di Cannobio; il Capitano di fregata ing. Gian Carlo Poddighe; Luca Turrini, Responsabile delle ricerche subacquee del Gruppo Volontari del Garda. A tutti loro un grande grazie!
Note
1. Alla Guardia di Finanza venne riconosciuto lo status di Corpo militare dello Stato nel 1907.
2. Le prime otto ebbero inizialmente nomi di muse, le altre sei di insetti
3. Regio Decreto 8 marzo 1896, n. 75, in Gazzetta Ufficiale 28 marzo 1896 n 74. Il decreto, all’art. 1 estendeva i servizi di vigilanza finanziaria con torpediniere delle Regia Marina al Lago di Lugano e alla laguna di Venezia; all’art. 2 autorizzava il Ministero della Marina a cedere definitivamente al Ministero delle Finanze dieci torpediniere di IV classe e tre barche torpediniere White, identificando le prime con i numeri arabi, seguiti dalla lettera T, e con numeri romani, le seconde; all’art. 3 prevedeva la possibilità di cessione al Ministero delle Finanze di altre tre torpediniere di IV classe.
4. Comandanti delle torpediniere (poi battelli incrociatori) erano sottufficiali della Regia Marina, in possesso di apposito certificato di abilitazione, rilasciato dal Ministero della Marina, dopo uno speciale esame teorico-pratico
5. Il 1° febbraio 1894, presso l’allora “Deposito Allievi Guardie di Finanza” di Messina, era stata nel frattempo creata la “Scuola Speciale per Allievi di Mare”, presso la quale, da quel momento in avanti, sarebbero state istruite le reclute appartenenti al c.d. “ramo mare” del Corpo. Il suo primo comandante e primo istruttore fu il Sotto Brigadiere Longardi, coadiuvato dai colleghi Gaetano Di Macco, Angelo Giacchetti e Salvatore Morfino. Longardi fu poi trasferito sul lago Maggiore, prima a Luino e poi a Cannobio, dove, il 17 settembre 1897, conseguì l’abilitazione al comando di barche a vapore sui laghi.
6. Cfr. Regio Decreto 28 gennaio 1900 n. 29, in Gazzetta Ufficiale 19 febbraio 1900 n. 41.
7. Rammentiamo che queste torpediniere avrebbero dovuto essere imbarcate su navi da battaglia, per cui era necessario ridurre gli ingombri.
8. Un’interessante descrizione delle modalità di pattugliamento è contenuta in un articolo di Gaspare Carrubba, L’incrociatore di servizio al confine sul lago Maggiore, La Rivista Illustrata della R. Guardia di Finanza italiana, anno I, n. 15, 1/8/1901 riportato nel libro di Enrico Fuselli, Grigioverde di lago. Storia della Guardia di Finanza di Cannobio e della valle Cannobina 1862-2017.
9. V.https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/mezzi/mezzi-storici/Pagine/ABCD/caio_duilio.aspx .
10.Maurizio Pagnozzi, Storia dei rapporti fra Regia Guardia di Finanza e Marina Militare, Bollettino d’Archivio USMM – Suppl., Dicembre 2013, pag.8. Altre fonti indicano nel 1893 l’anno di arrivo.
11.La manutenzione ordinaria dei mezzi venne affidata a piccole officine, nelle quali lavoravano operai civili, poste nei centri di Cannobio, Porlezza e Limone sul Garda.
12.Enrico Fuselli e Gerardo Severino, Grigioverde di lago. Storia della Guardia di Finanza di Cannobio e della valle Cannobina 1862-2017, pag. 170.
13.Cfr. Un Segreto durato un secolo. Ora la verità sulla Locusta, in L’Eco di Locarno, sabato 5-lunedì 7 gennaio 1991, pag. 13.
14.Cfr. Tentativo di recupero della “19 T” Locusta, da Il Finanziere, anno LXXXIX, n. 18, 30 settembre 1975
15.Luca Turrini, responsabile delle ricerche subacquee del Gruppo Volontari del Garda ha precisato che le ricerche furono effettuate in un’unica giornata utilizzando solamente il sonar a testa rotante Tritech Seaking mentre non fu utilizzato il ROV Mariscope Commander in quanto il sonar non aveva individuato nessun obiettivo compatibile con il relitto della torpediniera.
16.Per le immersioni di Piccard, cfr. http://www.maisondelariviere.ch/historique-du-sous-marin/ .
17.Cfr. La Prealpina 10 maggio 2018 e Luino notizie 14 Maggio 2018.
18.Risulta che Roberto Mazzara avesse già effettuato nel 1991 un primo tentativo di ritrovare il relitto, rimasto senza successo, anche se affermò di averne ritrovato “un pezzo”. Cfr. L’Eco di Locarno, cit.
Fonti
– AA.VV., L’architettura del naviglio storico della Guardia di Finanza, Ufficio Navale della Guardia di Finanza, 2007.
– Giommaria Angius e Enrico Fuselli, Per sempre Fiamme Gialle, Museo Storioco Guardia di Finanza, 2019.
– Carmelo Calabrò, La misteriosa scomparsa sul Lago Maggiore della Torpediniera Locusta T 19, in Finanzieri, giugno 2010.
– Enrico Fuselli e Gerardo Severino, Grigioverde di lago. Storia della Guardia di Finanza di Cannobioe della valle Cannobina 1862-2017, Diemme, 2017.
– Gino Galuppini ed Enrico Scandurra, Tentativo di recupero della “19 T” Locusta, in Il Finanziere, anno LXXXIX, n. 18, 30 settembre 1975.
– Giorgio Giorgerini e Augusto Nani, Le navi di linea italiane, Ufficio Storico della Marina Militare, 1966.
– Elio Motella, Torpediniera T 19 “Locusta” – Pattuglia senza ritorno, Macchione, 2020.
– Maurizio Pagnozzi, Storia dei rapporti fra Guardia di Finanza e Marina Militare, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare – Supplemento, Dicembre 2013.
– Maurizio Pagnozzi, Il contrabbando sulla frontiera terrestre nel XIX secolo, in Atti del Convegno “Il Contrabbando al confine alpestre nel XIX e nel XX secolo”, 2013.
– Paolo M. Pollina, Le torpediniere italiane 1881-1964, Ufficio Storico della Marina Militare, 1964.
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